di Franco Mostacci
La stima preliminare del Pil per il secondo trimestre 2014 spegne gli entusiasmi di chi si era illuso (o aveva illuso) che il 2014 sarebbe stato finalmente l’anno della ripresa economica.
Che le cose non stessero andando per il verso giusto si era capito da tempo e la fibrillazione con la quale si attendeva oggi il dato dell’Istat ne è una riprova.
Nel secondo trimestre del 2014 il Pil è diminuito dello 0,2% (seconda caduta consecutiva dopo il -0,1% del primo trimestre). Se nei prossimi 2 trimestri il Pil rimarrà invariato l’anno si chiuderà con una caduta dello 0,3%.
Considerando le previsioni dell’Istat, la crescita zero è al momento l’obiettivo più ambizioso e può essere raggiunto solo con la concretizzazione dello scenario più ottimistico, quello che prevede aumenti di 0,3% e 0,5% nei prossimi due trimestri. Assai più probabile appare la realizzazione dello scenario mediano per il quale si avrebbe una variazione di -0,2% (0,05% e 0,15% rispettivamente in T3 e T4), mentre in quello pessimistico si avrebbe una caduta di 0,4% (-0,2% e -0,25% nei prossimi trimestri).
L’effettiva variazione del Pil sarà, quindi, ben lontana, da quel +0,8% che il governo aveva previsto nel Def e che si sta rivelando un obiettivo irrealizzabile, semmai qualcuno avesse creduto che potesse esserlo.
Sono in molti a questo punto a chiedersi quali siano le ripercussioni di tale ridimensionamento sul rapporto deficit/Pil che il Governo aveva fissato al 2,6%.
L’effetto della diminuzione del denominatore è trascurabile e quantificabile in appena un decimo di punto, ma ciò non deve illudere che la situazione sia sotto controllo.
Infatti, la caduta del Pil ha ripercussioni sui conti pubblici causando sia minori entrate (tributarie e contributive) che maggiori uscite (ammortizzatori sociali).
Le entrate tributarie contabilizzate fino a giugno sono in calo di oltre 2 miliardi di euro (figura 1), mentre il Def prevedeva per quest’anno un aumento di gettito di 14 miliardi (da 468 a 482 miliardi di euro).
Le entrate contributive sono sostanzialmente invariate rispetto allo scorso anno a fronte di un aumento previsto di 1,3 miliardi di euro.
Anche senza considerare eventuali costi aggiuntivi per gli ammortizzatori sociali, mancano all’appello 17,5 miliardi di minori entrate che porterebbero il disavanzo a sfiorare i 60 miliardi di euro, facendo crescere il rapporto al 3,8% del Pil[1].
Nel poco tempo che rimane da qui alla fine dell’anno, il Governo dovrà ridurre in maniera consistente la spesa pubblica o trovare nuove entrate di natura tributaria per non ricadere nella procedura per disavanzi eccessivi.
Ora che i gufi hanno dimostrato di non essere tali, continuare con pervicacia ad escludere la necessità di una manovra correttiva, appare sempre più come una politica dello struzzo.
Figura 1 – Entrate tributarie 2013 e 2014(*) (milioni di euro)
(*) Valore acquisito a giugno 2014, ipotizzando per il secondo semestre un gettito pari a quello dei corrispondenti mesi del 2013.
Fonte: elaborazione su dati MEF – Dipartimento delle Finanze
[1] Anche in presenza di una revisione straordinaria dei conti economici che aumentasse il valore del Pil del 5%, il rapporto potrebbe al massimo ridursi al 3,6%.