Chi ha paura di Ipazia di Alessandria?

di Franco Mostacci
pubblicato su Il Foglietto della Ricerca

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La vicenda di Ipazia di Alessandria, prima scienziata donna e vittima dell’intolleranza religiosa – ma anche dell’ostracismo maschile – è sconosciuta a molti, nonostante le sia intitolato un Centro di ricerca Unesco a Torino, che sostiene lo studio, la ricerca e la formazione in particolare delle donne scienziato del mediterraneo e dei balcani. Vissuta ad Alessandria d’Egitto intorno al 400 d.c., figlia del matematico e filosofo Teone che la avviò agli studi, fu un capo carismatico della scuola neoplatonica, che poneva  come scopo dell’esistenza umana il raggiungimento di una realtà estrema che non può essere insegnata o descritta con il linguaggio. Ipazia fornì un contributo allo sviluppo della matematica e allo studio delle coniche, scrisse una raccolta di tavole sui corpi celesti, contribuì alla costruzione di un astrolabio (strumento essenziale a quei tempi per l’orientamento durante la navigazione) e di un idroscopio.

Ma, per l’impero romano, in piena decadenza e convertito al cristianesimo, la conoscenza – sinonimo di paganesimo, in quanto non subordinava la ragione alla fede – andava sradicata in qualsiasi modo. A maggior ragione se a diffondere la libertà di pensiero era una donna, anche se tra i suoi discepoli annoverava numerosi cristiani, tra cui Sinesio di Cirene poi divenuto vescovo di Tolemaide.

Ad Alessandria era stata già bruciata la più importante biblioteca del mondo antico che conteneva più di 500.000 volumi e dopo l’editto del 391 dell’imperatore Teodosio che vietava qualsiasi forma di culto pagano, il vescovo Teofilo sobillò i cristiani a distruggere tutti i templi pagani, tra cui quello di Serapide dove era collocata l’altra biblioteca superstite. Nel 415 un manipolo di monaci cristiani parabolani, che rispondevano agli ordini del vescovo Cirillo – in seguito proclamato santo e dottore della chiesa cattolica – catturarono in strada Ipazia, uccidendola barbaramente e bruciandone i resti. Dopo la morte violenta di Ipazia i suoi allievi si dispersero, sancendo il definitivo declino di Alessandria d’Egitto come centro della cultura ellenica antica. Una storia che ha ispirato il regista cileno Alejandro Amenabar che ne ha tratto il film Agorà, presentato fuori concorso all’ultimo festival di Cannes, in cui il ruolo di Ipazia è affidato all’attrice Rachel Weisz.

Un kolossal che, come ha dichiarato il regista,  “presenta molte similitudini con i nostri tempi e non è contro l’una o l’altra delle religioni, ma contro ogni eccesso, ogni fondamentalismo e ortodossia”. La pellicola, che sta facendo il giro del mondo ed in Spagna è stata la più vista in lingua originale, in Italia quasi certamente non sarebbe mai arrivata se una piccola società di distribuzione nelle scorse settimane non avesse dato una grande dimostrazione di coraggio acquistandone i diritti, cosa che i grandi distributori non avevano fatto, temendo un flop nelle sale cinematografiche. Al di là della motivazione ufficiale, il film non è certamente gradito alle gerarchie ecclesiastiche e questo potrebbe spiegare il mancato interesse da parte dei principali distributori.

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