di Franco Mostacci
Alcune settimane fa i media, travisando i dati pubblicati da Eurostat, avevano dipinto un quadro tragico dei redditi degli italiani confrontati con quelli degli altri Paesi europei.
Nonostante la tardiva smentita dell’Istat, invocata da Monti e giunta nella serata del giorno successivo, l’opinione pubblica è rimasta convinta che gli italiani guadagnino meno dei greci e la metà dei tedeschi.
Nei giorni scorsi la situazione si è ripetuta, avendo ricevuto ampio risalto una “non” notizia, secondo la quale il volume dei consumi pro-capite di generi alimentari, bevande e tabacchi sarebbe rimasto stazionario negli ultimi trent’anni.
Estrapolata dal contesto della ricerca di Intesa SanPaolo, che intendeva offrire un quadro della situazione e delle prospettive per le imprese del settore agroalimentare, la “non” notizia è stata propagata come un altro evidente segnale della grave crisi economica.
Qualunque osservatore attento avrebbe notato che la stazionarietà dei consumi alimentari individuali è una condizione di assoluta normalità per una economia matura, con una popolazione già in sovrappeso.
Anzi, il progressivo invecchiamento medio potrebbe giustificare un calo dei consumi pro-capite, che, invece, escludendo i tabacchi, sono persino lievemente aumentati.
La ricerca trascura poi il mutamento degli stili di vita avvenuto negli ultimi trent’anni. Per motivi legati al lavoro o per diporto, gli italiani mangiano più spesso fuori casa e il volume dei consumi nei ristoranti e pubblici esercizi è aumentato di circa il 60%.
Ancora una volta, con un pizzico di attenzione, la stampa italiana avrebbe dovuto cestinare la notizia tendenziosa, evitando di “darla a bere” agli italiani.