Misure della povertà minorile in Italia

di Monica Montella e Franco Mostacci [1]
(versione PDF)

Lo studio ha costituito la base statistica per il rapporto Save the Children – “Il Paese di Pollicino
pubblicato su Rivista prospettive sociali e sanitarie – novembre 2012

Sintesi

Nel clima economico attuale, con la presenza di una forte recessione, con il consolidamento delle misure fiscali, le liberalizzazioni, le semplificazioni amministrative e i tagli dei finanziamenti pubblici, è di notevole importanza conoscere le dimensioni e le caratteristiche strutturali della povertà per destinare in maniera efficace le scarse risorse disponibili a sostegno dei nuclei familiari più deboli.

Un’analisi delle condizioni di disagio economico delle famiglie consente di evidenziare i soggetti che necessitano di una maggiore tutela sociale. Tra questi, in primo luogo, ci sono i minori per diversi ordini di motivi. Il primo è che i minorenni non sono responsabili delle loro condizioni economiche e lo Stato deve sostituirsi alla famiglia se questa non è in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Il secondo è che i minori rappresentano il futuro della società e una loro condizione di deprivazione attuale si riflette in un indebolimento del capitale umano potenziale. Infine, un terzo motivo è che in una società progredita come quella italiana non sono tollerabili situazioni di forte eterogeneità tra i giovani,  che possono generare conflitti sociali tra chi possiede troppo e chi ha scarsità di mezzi.

La povertà è uno stato di indigenza assoluta o relativa e include oltre che aspetti materiali anche dimensioni non materiali e intergenerazionali. La povertà relativa (d’ora in avanti più semplicemente povertà) individua la condizione di povertà nello svantaggio di alcuni soggetti rispetto agli altri e viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (detta linea di povertà) che individua il valore al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Il fenomeno della povertà relativa, oltre che attraverso la misura della sua diffusione (incidenza[2]), può essere descritto anche rispetto alla sua gravità (intensità[3]).

Le condizioni economiche del nucleo familiare sono determinate avvalendosi dei dati dell’indagine condotta periodicamente dalla Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane e seguendo definizioni e metodologie consolidate a livello internazionale[4] e già adottate in precedenti studi (Cannari L., Franco D., 1997).

Nel 2010, il 14,4%, degli individui risultano in condizione di povertà, in aumento rispetto al 13,4% del 2008[5]. L’incidenza di povertà tra i minori, invece, è molto più elevata. Infatti, nel 2010 è il 22,6% (quasi un minore su 4 è povero), in crescita rispetto al 21,3% del 2008.

Se analizziamo la cittadinanza degli individui una maggiore povertà si registra tra gli stranieri (il 42,1% nel 2010 rispetto al 12,6 degli italiani). In particolare il 58,4% dei minori stranieri risulta povero.

Le famiglie mono-genitoriali sono quelle maggiormente esposte alla povertà e i minori poveri che vivono in tali famiglie sono il 28,5%. La povertà minorile è maggiore nei nuclei con 5 o più componenti (39,5%) e cresce con il numero di minori presenti in famiglia (17,6% con un minore, 20,7% con due minori, 36,3% con tre o più minori).

Condizioni particolarmente discriminanti sono anche l’area geografica di residenza e il titolo di studio del capofamiglia. La povertà minorile si concentra soprattutto nelle Isole (44,7%) e al Sud (38,9%) e si associa ad una minore scolarità del capofamiglia (circa il 60% di povertà si associa ad un titoli di studio non superiore alla licenza elementare, mentre si ha solo il 6,5% di povertà se il capofamiglia è laureato).

Oltre all’incidenza risulta in aumento anche l’intensità della povertà, che è aumentata dal 30,9% del 2008 al 32,3% del 2010. Nelle famiglie con minori l’intensità di povertà è più alta (35,1% nel 2010) e risulta in aumento di 2,5 punti percentuali, viceversa in assenza di minori (26,7% nel 2010) l’intensità di povertà è diminuita di 1,5 punti percentuali. Le famiglie il cui capofamiglia è straniero presentano un’intensità di povertà del 23,2%, minore rispetto al 38,9% delle famiglie con capofamiglia italiano.

Per meglio destinare le risorse delle politiche sociali a sostegno dei più deboli, l’analisi sulla povertà limitata solo al reddito può essere distorta, perché non si considera il patrimonio familiare. L’analisi sulla povertà può essere corretta sottraendone i falsi poveri, definiti come coloro che pur avendo un reddito disponibile equivalente inferiore alla soglia di povertà hanno una ricchezza superiore al valore mediano. In questo caso l’incidenza di povertà nel 2010 si ridurrebbe dal 14,4% al 12,9% e quella minorile dal 22,6% al 20,8%. Tra i cittadini stranieri non sono stati rilevati falsi poveri.

La popolazione residente, i minori e i nuclei familiari

La popolazione residente in Italia è composta da circa 60 milioni di persone[6].

Nel corso degli ultimi anni (figura 1) è cresciuta considerevolmente la componente straniera, passata dal 2,7% del 2003 al 7,3 % nel 2011.

La percentuale di minorenni sfiorava il 20% nel 1992 ed è progressivamente scesa nel tempo, raggiungendo il 16,9% nel 2011, come conseguenza della bassa natalità.

La popolazione straniera residente in Italia si caratterizza per una maggiore percentuale di minori, costantemente al di sopra del 20%, anche se in leggero calo dal 2007 in poi.

Figura 1 – Percentuale di minori, di minori stranieri e di popolazione straniera – Anni 1992-2011 (popolazione al 1° gennaio)
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Fonte: Istat

L’indagine campionaria della Banca d’Italia presenta alcune differenze con la base di dati demografica. Nel 2010, la percentuale di minori che risulta dall’indagine è pari al 18% (il 16,9% secondo i dati Istat), gli stranieri sono sottorappresentati (il 6,1% contro il 7%), mentre dall’indagine risulta particolarmente elevata la percentuale di minori stranieri, pari al 27,2% contro il 22% dei dati Istat[7].

La composizione dei nuclei familiari[8] che emerge dai dati dell’indagine campionaria ha subìto modifiche negli ultimi 15 anni (figura 2). Nel 2010, le coppie con figli sono il 54,8% del totale con una diminuzione di oltre 10 punti rispetto alla metà degli anni ’90. Sostanzialmente stabili sono i nuclei con un solo genitore, se però si analizza la composizione delle monoparentali, la percentuale di quelle con minori è cresciuta dal 5% al 7,5%, mentre quelle senza minori sono diminuite (da 6% a 4,7%). In aumento le coppie senza figli (da 17,3% a 23,7%) e le persone che vivono da sole (dal 6 al 9,8%).

Figura 2 – Distribuzione percentuale degli individui per tipologia di nucleo familiare – Anni 1995 e 2010
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

Nel presente studio l’incidenza o diffusione della povertà è misurata come carenza di reddito.

Il reddito considerato è il reddito disponibile al netto delle imposte dirette sul reddito e dei contributi sociali che comprende le retribuzioni da lavoro dipendente, i proventi dell’attività lavorativa autonoma, i trasferimenti in denaro (pensioni, ecc.), le rendite immobiliari compreso l’affitto imputato per le abitazioni occupate dai proprietari, i redditi da capitale.

Nel reddito non sono considerati i trasferimenti in natura offerti alle famiglie sotto forma di servizi pubblici, il patrimonio posseduto dalla famiglia e altri fattori di carattere non economico (come ad esempio lo stato di salute).

Per tenere conto delle economie di scala dovute alla diversa numerosità delle famiglie si passa dal reddito disponibile al reddito disponibile equivalente (si veda nota 2).

Negli ultimi dieci anni i redditi delle famiglie hanno accumulato una pesante perdita del potere d’acquisto con un effetto differenziato sulla distribuzione (Montella e altri, 2012).

Il reddito equivalente (figura 3) è cresciuto da un valore medio di 11.725 euro nel 1995 a 18.914 euro nel 2010 (+61,3%) e da un valore mediano di 10.059 euro nel 1995 a 16.485 euro nel 2010 (+63,9%). La soglia di povertà considerata nel presente studio è la metà del valore mediano del reddito equivalente.

Figura 3 – Distribuzione del reddito equivalente medio, mediano e della soglia di povertà – Anni 1995-2010
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

La povertà dei minorenni

Nel periodo 1995-2010, l’incidenza di povertà relativa in Italia (figura 4) è rimasta alquanto stabile, oscillando tra un valore minimo nel 2002 e 2006 di 13,2 e un valore massimo di 14,4 registrato nel 2010, cresciuta di 1 punto percentuale rispetto a due anni prima.

In tutto il periodo considerato l’incidenza della povertà minorile è nettamente più elevata con valori che oscillano intorno al 20% e raggiungono il picco massimo di 22,6% nel 2010, in crescita rispetto al 21,3% del 2008.

Rispetto alla povertà totale la condizione di povertà minorile è più alta di 8,2 punti percentuali.

Dal 2006 sono disponibili anche i dati per cittadinanza dell’individuo. Mentre per gli italiani la povertà è leggermente inferiore a quella totale, gli stranieri fanno registrare valori crescenti fino ad arrivare al 42,1% nel 2010.

Figura 4 – Incidenza di povertà relativa – Anni 1995-2010 (percentuale di individui poveri)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

La diffusione della povertà minorile assume valori differenti al variare delle caratteristiche dell’individuo, del nucleo familiare o del capofamiglia[9] (tavola 1).

Tavola 1 – Incidenza della povertà relativa minorile per le diverse caratteristiche dell’individuo o del nucleo familiare di appartenenza – Anni 1995-2010 (valori percentuali)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

 Se nel 2010 l’incidenza di povertà minorile è il 22,6% (figura 5), per i minori che vivono con un solo genitore l’incidenza sale a quasi il 30%, mentre per le coppie con figli scende al 21,5%[10].

La maggiore difficoltà dei nuclei monogenitoriali è confermata anche dall’analisi per cittadinanza dell’individuo. I minori italiani hanno un incidenza di povertà del 19%, un terzo di quella dei loro coetanei stranieri, che raggiunge il 58,4% e sale al 62,2% se è presente un solo genitore.

Figura 5 – Incidenza di povertà relativa minorile per tipo di nucleo familiare e cittadinanza– Anno 2010 (percentuale di individui poveri)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale, la povertà minorile non è equamente distribuita sul territorio nazionale (figura 6).

Figura 6 – Incidenza di povertà relativa minorile per tipo di nucleo familiare e area geografica– Anno 2010 (percentuale di individui poveri)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

 L’incidenza di povertà relativa tra i minori nel nord-ovest è al 10,9%, il 14% al nord-est e il 13,2% al centro, valori ben al di sotto della media nazionale. Il fenomeno continua ad essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno dove in Sicilia e in Sardegna si raggiunge il valore di 44,7% e si supera la metà se si considerano i minori che vivono con un solo genitore, mentre nel sud i minori poveri sono il 38,9% (quasi 2 ogni 5).

Rispetto al numero dei componenti (tavola 1) l’incidenza di povertà nel 2010 è particolarmente elevata per i nuclei di 5 o più persone (39,5%).

L’incidenza di povertà risulta crescente anche all’aumentare del numero di minori presenti nel nucleo familiare (17,6% nel caso di un solo minore, 20,7% se ne sono presenti 2 e 36,3% se il nucleo comprende 3 o più minori).

Non si registrano invece differenze significative rispetto all’età del minore (21,7% tra zero e dieci anni, 23,8% tra 11 e 17 anni), ed inoltre l’incidenza di povertà relativa non sembra essere particolarmente influenzata dal sesso del capofamiglia, anche se è leggermente più elevata se si tratta di una donna (il 24,2% contro il 22,2% maschile).

Particolarmente significativo è invece il dato relativo alla povertà minorile per classe di età del capofamiglia. L’incidenza è maggiore se il capofamiglia è più giovane (47,8% fino a 34 anni), per poi stabilizzarsi per le fasce di età più alte (21,3% tra i 35 e i 44 anni; 21,5% tra i 45 e i 54 anni e 20,8% tra i 55 e i 64 anni). Questo risultato è legato al reddito che è crescente al crescere dell’età dell’individuo e quindi espone maggiormente alla condizione di povertà il capofamiglia più giovane.

La povertà è inoltre associata a bassi livelli di istruzione della persona di riferimento, l’incidenza di povertà minorile risulta più elevata nei nuclei familiari quando è a capo della famiglia una persona con il titolo di studio più basso (57,9% se non possiede alcun titolo e 64,9% se è in possesso della licenza elementare). Al crescere del titolo di studio diminuisce la povertà individuale: con la licenza media inferiore è associata un’incidenza del 31%, che scende all’11,4% se il capofamiglia ha un diploma di licenza media superiore e il 6,5% se è laureato.

Oltre all’incidenza di povertà è importante conoscere anche una misura dell’intensità, ovvero di quanto una famiglia si trova in condizione di povertà (figura 7).

Lo scarto percentuale fra il reddito equivalente dei soggetti in condizione di povertà e la soglia di povertà misura il poverty gap o deficit di povertà. Nel 2010 è pari al 32,3% per la totalità delle famiglie residenti. L’intensità di povertà nel tempo è sempre più alta per le famiglie in cui sono presenti minori rispetto a quelle senza minori.

Figura 7 – Soglia di povertà relativa e redditi medi equivalenti delle famiglie povere con e senza minori – Anni 1995-2010
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

L’analisi dell’intensità di povertà è stata condotta anche con riferimento ad alcune tipologie  familiari (tavola 2).

Tavola 2 – Intensità di povertà relativa per tipo di nucleo familiare e cittadinanza – Anni 1995-2010 (valori percentuali)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

Alla fine degli anni ’90 l’intensità di povertà – ovvero di quanto in percentuale il reddito disponibile equivalente familiare si discosta dalla soglia di povertà –  risultava particolarmente elevata (il 38,1% nel 1998). Negli anni successivi è scesa progressivamente fino al valore minimo di 26,9% nel 2006. Negli ultimi quattro anni è risalita fino a raggiungere il valore di 32,3% nel 2010.

L’intensità di povertà è più elevata nei nuclei familiari in cui sono presenti i minori (35,1% nel 2010). Se il capofamiglia è straniero l’intensità di povertà è molto più bassa (23,2%) rispetto ai nuclei con capofamiglia italiano (38,9%) e la differenza è più accentuata nel 2010 rispetto agli anni precedenti.

Le famiglie monoparentali povere in cui sono presenti minori hanno un’intensità di povertà superiore (43,6%) rispetto alle coppie (34,4%). I nuclei monogenitoriali, pertanto hanno sia una maggiore incidenza di povertà che una maggiore intensità. La compresenza di entrambi i fattori, fenomeno assente negli anni ’90, rende particolarmente critica la situazione dei nuclei con un solo genitore.

L’analisi fin qui condotta, basata su un concetto di povertà relativa che fa riferimento al reddito disponibile equivalente, non consente di catturare le situazioni in cui il nucleo familiare – e gli individui che vi appartengono – pur avendo un reddito al di sotto della soglia di povertà-, può contare anche sulla propria ricchezza al fine di evitare una situazione di deprivazione economica.

Per catturare i così definiti falsi poveri, ovvero coloro che pur essendo al di sotto della soglia di povertà secondo il reddito, appartiene ad un nucleo familiare la cui ricchezza è superiore alla mediana della ricchezza nazionale (si trova nella parte destra della distribuzione della ricchezza), bisogna concentrare l’analisi oltre che sul reddito anche sulla ricchezza.

L’analisi sulla povertà può essere corretta depurando, dall’ammontare totale degli individui in povertà relativa, il numero dei “falsi poveri”. Attraverso la stima della ricchezza la percentuale di poveri diminuisce e la presenza di “falsi poveri” non è uguale nel corso del tempo (figura 8).

Figura 8 – Tasso di povertà relativa standard e depurato dai “falsi poveri” totale e minorile– Anni 1995-2010 (valori percentuali)
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Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia

Nel 2010, considerando i “falsi poveri”, il tasso di povertà relativa si riduce dal 14,4% al 12,9% e la povertà minorile si abbassa dal 22,6% al 20,8%.

Negli ultimi quattro anni la percentuale di “falsi poveri” sul totale dei poveri è diminuita e la differenza tra linea standard e quella corretta si è ridotta nel tempo.

Conclusioni

Uno degli obiettivi fondamentali delle politiche nazionali contro la povertà dovrebbe essere quello di aiutare i poveri a raggiungere un livello di vita soddisfacente, nonché di creare le condizioni, economiche e di altro tipo, che consentano a essi e ai loro figli di avere eguale accesso alle opportunità.

Secondo Del Boca (2010), “La povertà infantile è fortemente legata agli investimenti in capitale umano. Individui con un basso livello di istruzione sono in forte svantaggio sul mercato del lavoro e sono a maggior rischio di povertà“.

Una condizione prolungata di povertà, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza può avere effetti deteriori sulla salute e sul benessere di un individuo lungo tutto l’arco della propria esistenza (Emerson, 2009).

Il fenomeno della povertà minorile è particolarmente presente in Italia e la situazione, anziché migliorare nel tempo, sembra essersi aggravata nel 2010, in corrispondenza della crisi economica di cui soffre il Paese.

Rispetto alla povertà totale la condizione di povertà minorile è più alta di 8,2 punti percentuali.

Dallo studio effettuato emerge che la povertà minorile dipende in particolar modo dalla cittadinanza (l’incidenza di povertà è maggiore per gli stranieri anche se l’intensità è più bassa), dalla presenza di un solo genitore, dall’area geografica di residenza, dall’età e dal titolo di studio del capofamiglia.

Questo dato della povertà giovanile, oltre ad essere grave in sé, tende a generare una trasmissione intergenerazionale della povertà (le persone giovani povere genereranno figli poveri i quali faranno fatica ad uscire da questa condizione).

Le indicazioni che si possono trarre dalle analisi sono utili per definire politiche economiche mirate a ridurre la condizione di disagio economico dei minori ed offrire loro la possibilità di condurre senza privazioni il loro percorso di crescita alla pari dei loro coetanei più fortunati.

Per meglio destinare le risorse delle politiche sociali a sostegno dei soggetti più deboli, si deve tenere conto oltre che del reddito anche del patrimonio familiare, eliminando dai beneficiari i falsi poveri.

La tendenza in atto, nonostante la situazione tutt’altro che favorevole della finanza pubblica, sembra suggerire la necessità di interventi urgenti e mirati,  non più rinviabili che costituiscono, peraltro, un investimento nei confronti della generazione che rappresenta il futuro della società italiana.

Riferimenti bibliografici 

Banca d’Italia (1997-2012), I bilanci delle famiglie italiane  (dal 1995 al 2010) – Supplementi al Bollettino Statistico

Cannari L., Franco D. (1997), La povertà tra i minorenni in Italia: dimensioni, caratteristiche, politiche – Banca d’Italia – Temi di discussione del Servizio Studi – n. 294

Del Boca D. (2010), Child poverty and child well-being in Italy, Università di Torino – Dipartimento di Economia – Working paper n. 1/2010

Emerson E. (2009), Relative Child Poverty, Income Inequality, Wealth and Health – American Medical Association, http://www.precaution.org/lib/effects_of_childhood_poverty.090115.pdf

Istat (2011), La povertà in Italiahttp://www.istat.it/it/archivio/33524

Montella M., Mostacci F., Roberti P. (2012), I costi della crisi pagati dai più deboli – lavoce.info 3.4.2012  http://www.lavoce.info/articoli/-poverta/pagina1002972.html

OECD (2008), Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries - http://www.oecd.org/document/53/0,3746,en_2649_33933_41460917_1_1_1_1,00.html


[1]  Si ringrazia la Banca d’Italia per aver reso disponibile la serie storica degli archivi dell’indagine campionaria sui Bilanci delle famiglie italiane sulla quale si basano le analisi e i risultati conseguiti.

[2] Un individuo è povero (in senso relativo) se appartiene ad un nucleo familiare il cui reddito equivalente è inferiore alla metà della mediana. Il reddito equivalente è ottenuto dividendo il reddito disponibile della famiglia per il numero di componenti equivalenti: Yeq=Y/n eq. Il numero di componenti equivalenti di un nucleo familiare secondo la scala di equivalenza Ocde è la somma degli individui che la compongono, in cui la persona di riferimento vale 1, le  persone che hanno almeno 14 anni 0,5 e i minori di 14 anni 0,3. L’incidenza di povertà è il rapporto tra il numero di individui che si collocano al di sotto della soglia di povertà rispetto al totale degli individui.

[3] L’intensità di povertà è una misura percentuale di quanto il reddito disponibile delle famiglie è mediamente inferiore alla soglia di povertà. A differenza dell’incidenza individuale di povertà, la misura dell’intensità è riferita ai nuclei familiari nel loro insieme.

[4] L’OCDE usa una linea di povertà relativa che corrisponde al 50% della mediana del reddito disponibile ed una scala di equivalenza che tiene conto anche dell’età dell’individuo. I livelli e l’andamento temporale della povertà basato su queste definizioni può differire rispetto ad altre misure della povertà.

[5] Dal lato della spesa per consumi e utilizzando una differente metodologia per l’individuazione della soglia di povertà relativa, l’Istat rileva il 13,6 di individui poveri nel 2008, il 13,2% nel 2009 e il 13,8% nel 2010.

[6] I risultati provvisori del Censimento del 9 ottobre 2011, diffusi dall’Istat il 27 aprile 2012, indicano una popolazione residente di 59.464.644, di cui 3.769.518 stranieri (6,3%). Dopo la conclusione definitiva delle operazioni censuarie sarà ricostruita la popolazione residente e la sua distribuzione per età e per cittadinanza dal 2002 al 2011.

[7] Queste differenze possono incidere sulla precisione dei risultati delle elaborazioni sulla povertà minorile, ma non possono alterare la validità complessiva dell’analisi.

[8] Nel presente lavoro i figli sono gli individui che vivono con almeno un genitore fino all’età di 30 anni. Oltre tale soglia sono stati considerati come membri adulti appartenenti al nucleo familiare.

[9] Il capofamiglia è inteso come il maggior percettore di reddito del nucleo familiare.

[10] Se consideriamo soltanto le coppie con figli la diffusione di povertà minorile dipende dal numero di percettori di reddito, è il  37,4% se è solo uno dei genitori a percepire redditi  mentre scende all’11,9% se sono più percettori.

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