di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
Il Monte dei Paschi di Siena, che detiene il 2,5% delle quote azionarie della Banca d’Italia (il 3,5% in termini di voti), si accinge a riscuotere un prestito di 3,9 miliardi di soldi pubblici per far fronte alla crisi di liquidità conseguente a operazioni spericolate in titoli derivati.
Mps è riuscito ad eludere facilmente la sorveglianza della Banca d’Italia, tanto che ora è legittimo ipotizzare che la contaminazione di titoli tossici possa interessare anche altri gruppi bancari. Se come sembra ormai probabile, dopo la politica monetaria anche la funzione di vigilanza è destinata ad essere trasferita alla Bce, viene spontaneo chiedersi se non è il caso di eliminare la figura del Governatore della banca centrale italiana.
Anche il Governo, che riferirà oggi in Parlamento, non sembra esente da colpe avendo omesso i controlli sulla Fondazione Mps, che è il maggior azionista della Banca omonima. Sulla vicenda il Financial Times non salva nessuno da responsabilità politiche e gestionali.
Al di là di quello che emergerà dalle indagini in corso della magistratura, il salvataggio di Mps, con soldi pubblici e quindi dei contribuenti, sembra essere la diretta conseguenza della mutazione genetica delle banche.
Il Glass-Steagall Act del 1933, che separava le attività delle banche commerciali da quelle speculative, fu uno dei primi provvedimenti del New Deal del presidente americano Roosevelt per uscire dalla crisi finanziaria del 1929. Analogo divieto fu introdotto in Italia da Menichella con la legge bancaria del 1936, che tutelava il risparmio privato.
L’utilizzo a fini speculativi dei depositi fu vietato fino agli anni’90. Come ricorda Paul Krugman (Premio Nobel per l’economia nel 2008) nel suo libro Fuori da questa crisi, adesso!: “Le banche furono assoggettate a una serie di regole che dovevano impedire loro di scommettere con i soldi dei depositanti. In particolare, quelle di credito ordinario potevano solo erogare prestiti; non potevano usare i fondi dei depositanti per speculare sui mercati azionari o sulle commodity e non potevano esercitare attività speculative sotto lo stesso tetto istituzionale. La legge separava il credito ordinario dal cosiddetto investment banking esercitato da istituti specializzati”.
Negli Stati Uniti, la deregolamentazione del settore finanziario avviata dal repubblicano Reagan, si concluse nel 1999 sotto la presidenza del democratico Clinton, con la pubblicazione del Gramm-Leach-Bliley Act, che abrogò il Glass-Steagall Act del 1933 abolendo la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Krugman ricorda, per inciso, che Gramm finito il suo mandato al Congresso entrò nel consiglio di amministrazione di Ubs e sua moglie in quello di Enron.
La conseguenza è stata che i gruppi bancari, liberati da ogni vincolo, hanno iniziato ad adottare comportamenti altamente rischiosi, concedendo prestiti a tassi elevati a clienti di dubbia solvibilità. Quando l’affare andava bene i banchieri incassavano lauti profitti, in caso di insolvenza potevano dichiarare fallimento. Come dice Krugman, “se usciva testa vinceva lui, in caso di croce perdevano i contribuenti”.
In Italia le cose non sono andate molto diversamente. Con il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385), emanato dal governo Ciampi. la legge del ’36 fu mandata in pensione. Il comma 3 dell’articolo 10 del T.U. ha concesso alle banche di esercitare anche ogni altra attività finanziaria, incluse quelle connesse o strumentali.
Le banche si sono trasformate in holding finanziarie e hanno iniziato ad operare anche nel settore degli strumenti derivati (una sorta di assicurazione contro il rischio derivante dai prestiti), che speculatori privi di scrupoli, con la complicità delle agenzie di rating, hanno trasformato in molti casi in titoli tossici, da rifilare ai clienti più sprovveduti.
L’analisi di Joseph Stiglitz (Premio Nobel per l’economia nel 2001), per Le Nouvel Observateur è lucida e condivisibile: “Il problema oggi è che le banche hanno molto potere, anche potere politico. E che i nostri politici sono guidati dal denaro. Negli Stati Uniti d’America, in particolare, devono trovare il modo di finanziare la loro campagna presidenziale. E poi devono ricambiare”. La sua ricetta altrettanto chiara: “Separare le attività commerciali dalle attività d’investimento delle banche”.
E se gli Stati Uniti sembrano non voler procedere in questo senso, l’Unione Europea, dopo le conclusioni del gruppo di lavoro presieduto dal governatore della banca centrale finlandese Liikanen sulla riforma del sistema bancario europeo, sta pensando all’emanazione di una direttiva che limiti il campo d’azione delle banche.
In Italia, esattamente un anno fa, il senatore Oskar Peterlini (Svp) presentò un disegno di legge per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative. Le premesse anticipano ciò che sta accadendo ora con Mps: “esistono dei colossi che di fatto finiscono per rendere anche l’economia locale dipendente dai circuiti mondiali altamente speculativi e rischiosi … Da quando è esplosa la bolla dei derivati – gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completamente slegati dagli investimenti produttivi, dirottando risorse dall’economia reale ad un vero e proprio casinò mondiale – il rischio del fallimento delle grandi banche ha portato i governi e le banche centrali ad una serie di salvataggi emergenziali”. E’ superfluo aggiungere che il disegno di legge non è stato preso in considerazione né dal Parlamento né dal Governo dei tecnici presieduto da Monti, assiduo frequentatore dei think tank finanziari internazionali.
Alla luce delle ultime vicende, appare evidente che solo quando le banche riprenderanno a fare le banche, cioè a raccogliere il risparmio e prestarlo a famiglie e imprese, non rischieremo più che le crisi finanziarie possano travolgere l’economia reale.