Sul deficit, Italia promossa dalla Ue. Sì, ma con quali vantaggi?

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca

saccomanni

Con un grande sospiro di sollievo il 29 maggio il Governo ha accolto la notizia che la Commissione Europea ha chiuso la procedura per disavanzo eccessivo dell’Italia aperta nel 2009, allorquando era stato diagnosticato un disavanzo pari al 5,3% del Pil (successivamente rivisto al 5,5%), superiore al valore di riferimento del 3% stabilito dal Patto di stabilità e crescita.

Nell’anno 2010 il rapporto deficit/Pil era sceso al 4,5% e un ulteriore miglioramento (3,8%) si è avuto nel 2011. Nel 2012, sulla base dei dati forniti dall’Istat, la Commissione Europea ha reso noto che il “disavanzo pubblico dell’Italia si è costantemente ridotto scendendo al 3% del Pil nel 2012, ossia entro il termine fissato dal Consiglio”.

Calcolatrice alla mano, considerando che nel 2012 l’indebitamento netto è stato di 47.633 milioni di euro e il Pil di 1.565.916 milioni di euro, il relativo rapporto risulta pari a 3,04186…%, ovvero sopra la famigerata soglia del 3%. Per cui, a voler essere fiscali e senza giocare con l’arrotondamento delle cifre decimali, l’Italia si trova ancora in una situazione di disavanzo eccessivo e ha beneficiato di una interpretazione benevola del Trattato.

Per poter effettivamente rientrare al 3%, il Pil del 2012 sarebbe dovuto essere maggiore di 21.851 milioni di euro, oppure il deficit minore di 655 milioni di euro. Due obiettivi ben lontani dai numeri presi a riferimento dalla Commissione Europea, i quali sono peraltro provvisori e, forse, destinati a revisioni postume peggiorative, come spesso è avvenuto in passato.

Ma il rientro nella normalità per il 2012, ammesso che ci sia stato, non basta a chiudere la procedura per i disavanzi eccessivi, che è “abrogata solamente se le previsioni della Commissione indicano che il disavanzo non supererà la soglia del 3% del Pil nel corso del periodo di riferimento di tali previsioni”, ovvero a partire dal 2013.

E proprio l’anno in corso, a giudicare dalle ultime notizie, sembra destare più di qualche preoccupazione. L’Economic Outlook dell’Ocse, diffuso guarda caso il giorno successivo alla “promozione” dell’Italia da parte della Commissione Europea, stima che il Pil reale del nostro Paese nel 2013 scenderà dell’1,8% e non più dell’1,3% previsto fino a quel momento.

L’ulteriore peggioramento dell’economia, abbinato alla scarsa credibilità delle previsioni governative, fanno temere che anche per quest’anno  il superamento del 3% dell’indebitamento rispetto al Pil sarà più che probabile.

E mentre Francia e Spagna, così come altri paesi europei, non si stanno sicuramente strappando i capelli per il fatto che la Commissione Europea ha ritardato di due anni la chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo nei loro confronti, il Governo italiano, non si sa bene per quale motivo, gioisce.

Nel 2013, con il Pil ancora in caduta, la disoccupazione in aumento, oltre 80 miliardi di euro di spesa per interessi, 63  miliardi di euro di maggior debito pubblico e 45 miliardi di euro di disavanzo, c’è ben poco da stare allegri.

Il ministro dell’Economia Saccomanni, già direttore generale della Banca d’Italia, e il ministro del Welfare Giovannini, già presidente dell’Istat, sanno bene che le esangui casse dello Stato non concedono margini di manovra, né “tesoretti” da poter spendere.

Tanto più che la Commissione Europea ha tenuto a precisare che se entro la fine di agosto non si effettua una riforma dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare con effetti neutri sul bilancio, la rata sospesa dell’Imu sulla prima casa dovrà essere versata entro il 16 settembre. E per molti italiani, fin da adesso, si prospetta un brutto rientro dalle ferie estive.

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