Europa si, Europa no: lo squilibrio nei conti pubblici

di Monica Montella e Franco Mostacci
pubblicato su Scenari economici

I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Secondo la carta dei diritti fondamentali l’Unione Europea dovrebbe contribuire al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni e “promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile”.

Quando furono individuati i criteri di convergenza per poter aderire all’unione economica e monetaria, i famosi parametri di Maastricht, fu trascurato il perseguimento di uno sviluppo equilibrato e sostenibile da attuare anche attraverso una politica fiscale e una politica del lavoro comuni e questo ha portato a inevitabili squilibri.

Per quanto riguarda i conti pubblici i paesi dell’Euro sono stati impegnati, nel corso di questi anni, a rispettare il Patto di stabilità e crescita inseguendo un rapporto deficit/Pil inferiore al 3% e un rapporto debito/Pil che non superasse il 60%, senza preoccuparsi eccessivamente se ciò avesse comportato maggiori squilibri.

A seguito della crisi economico-finanziaria la maggior parte dei paesi dell’euro ha dovuto subire da parte della Commissione Europea l’apertura di una procedura per disavanzi eccessivi e avviare un processo di risanamento delle finanze pubbliche da attuarsi nel medio termine. Ancora una volta, però, è stato trascurato l’aspetto della convergenza verso una politica fiscale e del lavoro comune.

Come possiamo affermare questo?

Diamo uno sguardo alla composizione delle entrate del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche per il 2012 (figura 1), dove i principali paesi dell’Unione Europea (inclusi Regno Unito, Svezia e Romania che non partecipano all’euro) sono ordinati rispetto all’incidenza dell’imposizione fiscale (imposte dirette, imposte indirette, imposte in conto capitale).

Si passa da paesi che hanno quasi il 70% di entrate (Svezia, Irlanda e Regno Unito) a paesi che non arrivano al 50% (Grecia, Slovenia, Paesi Bassi, Slovacchia). L’Italia è al quarto posto e ben al di sopra dei 27 pesi dell’unione europea (EU27) e dei 17 paesi dell’euro (EMU17). Da notare anche la Romania che, a differenza degli altri, sta facendo una politica impositiva basata soprattutto sulle imposte indirette.

Figura 1 – Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche – Entrate – Anno 2012 (composizione percentuale)
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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

L’indicatore che misura il livello di tassazione medio di uno stato è la pressione fiscale, data dalla somma delle entrate tributarie e di quelle contributive rispetto al Pil [1]. In questa classifica, Belgio e Francia sono appaiati al primo posto con circa 20 punti in più rispetto a Slovacchia e Romania. L’Italia si colloca al quinto posto, con una pressione tributaria al 30% e contributiva al 14%, al di sopra della media europea. La Svezia fa registrare la maggiore pressione tributaria (36%), bilanciata da una bassa pressione contributiva (8%).

Figura 2 – Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche – Pressione fiscale – Anno 2012 (composizione percentuale)
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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Anche dal lato della composizione della spesa pubblica, in cui è stato privilegiato l’ordinamento rispetto alle prestazioni sociali in denaro (figura 3), la situazione dello squilibrio tra i paesi non migliora.

Pur avendo effettuato negli ultimi 20 anni numerosi interventi di riduzione della spesa previdenziale l’Italia è al primo posto, seguita da Portogallo e Austria, con i Paesi Bassi in coda alla graduatoria. Se però si aggiungono anche le prestazioni sociali in natura è la Germania il paese che, con oltre il 50%, destina la maggior quota di spesa pubblica alla sicurezza sociale.

La spesa per le retribuzioni dei dipendenti pubblici è massima in Svezia e Irlanda (27%) e raggiunge il minimo in Austria (18%), Slovacchia e Paesi Bassi (19%).

Il Regno Unito fa registrare la più alta quota di consumi intermedi (27%) mentre gli investimenti fissi lordi sono ovunque una quota residuale tranne che in Romania (13%).

Gli interessi passivi sul debito pubblico sono molto elevati in Europa, come abbiamo già evidenziato in un precedente articolo, ma impattano in misura diversa in Italia (11%), Portogallo e Irlanda (9%), rispetto alla Svezia (2%).

Figura 3 – Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche – Uscite – Anno 2012 (composizione percentuale)
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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Un interessante indicatore sui conti pubblici è la misura dello squilibrio del sistema previdenziale (figura 4) ottenuto come rapporto tra entrate per contributi sociali effettivi e figurativi e uscite per prestazioni sociali in denaro. Un valore del rapporto superiore a 1 indica un eccesso di entrate rispetto alle uscite. Nella quasi totalità dei casi la spesa pensionistica nel 2012 è stata superiore alle entrate e quindi lo Stato è dovuto intervenire, attingendo alla fiscalità generale, per coprirne la differenza [2].

I Paesi Bassi presentano un surplus positivo del sistema previdenziale (1,37), cioè incassano molti più contributi rispetto alle pensioni erogate. Anche la Germania (1,04) ha un sistema attualmente in equilibrio. L’Italia con 0,70 si trova in una posizione infelice, in buona compagnia dei paesi PIGS e del Regno Unito (0,54) e Svezia (0,53). Considerando la media EMU17 (0,90) anche su questo aspetto lo squilibrio tra paesi è evidentissimo.

Figura 4 – Squilibrio del sistema previdenziale – Anno 2012
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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Un ulteriore indicatore dello squilibrio esistente in Europa è rappresentato dai contributi sociali per ora lavorata. La Francia è al primo posto con 9,71 euro l’ora di contributi sociali totali, seguita dai Paesi Bassi (8,29 euro/ora), Germania (7,74 euro/ora) e Austria (7,39 euro/ora). In Italia la contribuzione è di 5,01 euro l’ora, ben al di sotto della media EMU17 (6,56 euro/ora). Tra i valori più bassi in Europa vi sono il Regno Unito (3,30 euro/ora), Grecia (3,20 euro/ora) Irlanda (2,86 euro/ora), Slovacchia (2,30 euro/ora) e Portogallo (2,16 euro/ora). In Romania si registra la quota contributiva oraria più bassa dei paesi considerati (0,71 euro/ora).

Figura 5 – Contributi sociali totali ed effettivi per ora lavorata – Anno 2012 (in euro)
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Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Il quadro che esce da questa analisi statistica sul 2012 del conto economico consolidato della pubblica amministrazione è un Europa molto disuguale con politiche fiscali altamente squilibrate e con una spesa previdenziale in grave deficit soprattutto per alcuni paesi.

Per raggiungere l’obiettivo di uno sviluppo equilibrato e sostenibile bisognerebbe ambire ad un processo che renda più competitiva l’Europa rispetto agli altri paesi extraeuropei. Al momento si considera solo il raggiungimento dei saldi di finanza pubblica previsti dai trattati e dai regolamenti senza tener conto di un percorso di riequilibrio della composizione dei conti pubblici.

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[1] Nell’analisi di tale indicatore si deve considerare che il Pil, secondo le regole internazionali definite nel Sec, comprende anche l’economia sommersa. La pressione fiscale, pertanto, non tiene conto dell’evasione tributaria e contributiva, che può incidere in maniera diversa a seconda dei paesi.
[2] Una misura dell’equilibrio generale del sistema previdenziale, e quindi della sua sostenibilità, non può però che essere fatto nel lungo periodo, tenendo conto dei fattori demografici e della normativa nazionale sulle modalità di uscita dal mondo del lavoro e di calcolo della prestazione pensionistica.

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