di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
Le classifiche di Transparency International sulla percezione della corruzione vedono l’Italia allo stesso posto di 12 mesi fa (43 punti e 69ma posizione su 175 paesi). Le vicende di cronaca giudiziaria, che stanno investendo politici e amministratori pubblici della Capitale, farebbero ritenere che la situazione è, semmai, peggiore di quella descritta dalle statistiche.
E questo, nonostante l’entrata in vigore della legge 190/2012 sulla prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, che avrebbe dovuto creare un argine al malaffare.
Uno sguardo d’insieme ai 22 enti pubblici di ricerca fa comprendere che la prevenzione della corruzione è vista come un fastidio piuttosto che una necessità.
La legge prevede che ogni amministrazione nomini, tra i suoi dirigenti, un Responsabile della prevenzione della corruzione e che adotti entro il 30 gennaio un Piano triennale di prevenzione della corruzione.
In ben 11 enti di ricerca (tra cui Cnr e Istat) l’incarico è stato affidato al direttore generale, con un evidente tentativo di depotenziamento della funzione, che può sfociare in un vero e proprio conflitto di interessi, laddove il direttore generale reggente è anche direttore pleno jure della gestione del patrimonio (Istat).
All’Istituto nazionale di astrofisica, visto che la legge non stabilisce un termine, hanno ritenuto di non nominare un responsabile per la prevenzione della corruzione o, se lo hanno fatto, si sono guardati bene dal renderlo noto e dal comunicarlo all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac).
Il Piano triennale di prevenzione della corruzione non è stato ancora adottato da Inea, Cra, Istituto di alta matematica (Indam) e Istituto agronomico per l’oltremare (Iao), mentre Inaf, Istat, Istituto italiano di studi germanici (Iisg) e Stazione zoologica ‘Anton Dohrn’ (Szn) lo hanno approvato solo dopo l’entrata in vigore del decreto legge 90/2014, che trasferiva all’Anac il potere sanzionatorio in caso di inadempienza.
La situazione è ancora peggiore se si vanno ad analizzare i contenuti dei piani di prevenzione della corruzione. Oltre ad essere carenti riguardo all’attività svolta nel 2013, sono per lo più un contenitore di dichiarazioni di principio alle quali non sembra che seguano azioni concrete. La stessa Anac ha denunciato il diffuso malcostume di piani anticorruzione confezionati copiando e incollando intere parti del Piano nazionale o quello di un altro ente.
Non resta che attendere la fine dell’anno, quando saranno rese note le relazioni sulle misure di prevenzione adottate nel corso del 2014. Ma fin da ora si può essere quasi certi che non emergeranno casi di sventata o denunciata corruzione all’interno degli enti pubblici di ricerca.
Il che può voler dire tre cose: a) la corruzione nella pubblica amministrazione in Italia è solo percepita ma non esiste; b) gli enti di ricerca rappresentano un esempio di specchiata legalità all’interno della pubblica amministrazione; c) le amministrazioni si sono attrezzate per gestire la legge anticorruzione in modo tale da renderla inefficace.
Ognuno è libero di pensarla come crede, ma se il caso Roma insegna qualcosa, non si può che propendere per la terza ipotesi.