di Franco Mostacci
(documento .pdf)
(open data)
Come accade ogni anno, a novembre 2024 la Commissione europea ha pubblicato la tavola statistica che riassume i valori di alcuni indicatori chiave, per ciascuno dei 27 paesi dell’Unione europea (scoreboard).
Tali numeri sono presi a riferimento per la Relazione sul meccanismo di allerta – punto di partenza dell’attività di sorveglianza per il coordinamento delle politiche economiche[1] – in cui si individuano i Paesi che saranno sottoposti ad analisi più particolareggiate e complete (in depth review) per poi formulare raccomandazioni specifiche per gli Stati in cui si riscontrano squilibri macroeconomici eccessivi[2].
Un meccanismo un po’ farraginoso che, finora, non ha prodotto molti risultati concreti[3], ma che comunque consente di tenere sotto osservazione l’evoluzione di alcuni aspetti macroeconomici e individuare alcune criticità.
Va anche considerato che, nonostante l’attenzione posta dalla Commissione europea alla salvaguardia dell’ambiente, con gli obiettivi ambiziosi del Green New Deal e del Fit for 55%, in ordine al rispetto degli accordi di Parigi sulla decarbonizzazione, i cambiamenti climatici e la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il quadro di valutazione è incentrato solo sugli aspetti macroeconomici, prescindendo dalla sostenibilità dello sviluppo.
Si tratta di una limitazione al coordinamento delle politiche economiche non più giustificabile, soprattutto in considerazione del fatto che il 37% dei 750 miliardi di sussidi e prestiti previsti da Next Generation EU, deve essere impiegato in progetti di salvaguardia o recupero ambientale, la cui effettiva realizzazione andrebbe monitorata anche sotto il profilo degli squilibri tra Paesi.
La revisione del Patto di stabilità e crescita dell’UE, rappresenta poi un’occasione persa di riconsiderare gli indicatori di squilibrio macroeconomico presi a riferimento.
L’obiettivo dello scoreboard è quello di evidenziare ogni tendenza che possa determinare sviluppi che hanno – o potrebbero avere – effetti negativi sul corretto funzionamento dell’economia di uno Stato membro, dell’Unione economica e monetaria o dell’intera Unione. Se lo squilibrio diventa eccessivo può mettere a repentaglio il corretto funzionamento dell’Unione economica o monetaria.
Il meccanismo di allerta per l’individuazione e il monitoraggio degli squilibri comprende un numero ristretto di indicatori macroeconomici e macrofinanziari (13 indicatori principali e 23 ausiliari)[4].
L’attuale quadro di valutazione considera due aspetti fondamentali di un Paese (prospetto 1):
- squilibri esterni e competitività (partite correnti, posizione patrimoniale netta sull’estero, tasso di cambio effettivo reale, variazione delle quote di esportazione verso le economie avanzate, costi unitari del lavoro);
- squilibri interni e occupazione (debito pubblico, debito delle famiglie e Isp, debito delle imprese, flusso dei prestiti alle famiglie, flusso dei prestiti alle imprese, prezzi delle abitazioni, tasso di disoccupazione e tasso di attività 15-64 anni).
Prospetto 1 – Indicatori principali per tipologia di squilibrio e valore limite
Per i 13 indicatori principali sono state definite delle soglie indicative (massime e minime di allerta), superate le quali si individua una condizione di squilibrio.
Tavola 1 – Quadro di valutazione della procedura per gli squilibri macroeconomici – Anno 2023
Fonte: Commissione europea, Eurostat e DG ECFIN (per gli indicatori sul tasso di cambio effettivo reale)
Il quadro di valutazione preso a riferimento per il Semestre europeo 2024 (tavola 1) è riferito al 2023, anno caratterizzato da una bassa crescita, dovuta alla combinazione di alti tassi di interesse ed elevata inflazione[5], che hanno fatto aumentare i costi di produzione.
Il Pil dell’Unione europea è aumentato di appena 0,4%, con molti Paesi in negativo (tra cui la Germania), dopo la forte crescita dei due anni precedenti, caratterizzati dal rimbalzo dopo il crollo del 2020 per il lockdown pandemico.
In questo contesto, l’Irlanda oltrepassa il valore di soglia per ben 6 indicatori su 13 (due in più dello scorso anno), mentre Belgio, Cipro, Svezia, Slovacchia. Grecia e Lussemburgo si fermano a 5. Il Paese più virtuoso nel 2023 è stato l’Italia, con un solo valore superiore al limite, il debito pubblico, rispetto ai tre dell’anno precedente, quando erano deficitari anche la quota di mercato delle esportazioni nelle economie avanzate e il tasso di occupazione della popolazione in età attiva 15-74 anni.
Più in generale, nel 2023 si sono registrati 98 squilibri per i 27 Stati dell’Ue (con una media di 3,5 squilibri per Paese), in miglioramento rispetto ai 105 del 2022, il numero più alto degli ultimi 10 anni, persino superiore al 2020 caratterizzato dall’emergenza sanitaria.
Quando il livello di guardia di un indicatore è superato da numerosi paesi la situazione di criticità investe l’Unione Europea nel suo complesso: è il caso della variazione triennale del costo del lavoro oltre il 9% che riguarda 22 Paesi su 27 (una conseguenza dell’elevata inflazione); del debito pubblico superiore al 60% del Pil (13 Paesi); della variazione del tasso di cambio effettivo (11 Paesi) e degli squilibri negativi o positivi della bilancia commerciale (10 Paesi).
Oltre alla già citata assenza di indicatori della sostenibilità ambientale, il set di indicatori considerato non è sicuramente esaustivo per monitorare il quadro macroeconomico. Basti pensare all’assenza del tasso di interesse sul debito pubblico che condiziona la sostenibilità del servizio del debito[6], di indicatori sulla situazione finanziario-patrimoniale del sistema del credito[7] o più in generale sull’esposizione finanziaria del Paese[8].
Un sistema di monitoraggio degli squilibri macroeconomici dovrebbe anche considerare le situazioni di dumping fiscale[9] e lavorativo, che alterano le pari opportunità di sviluppo delle economie europee.
Le modifiche apportate al set di indicatori principali di squilibrio macroeconomico, introdotte a partire dalla presente edizione, non sembrano particolarmente efficaci a colmare i vuoti esistenti.
Eccezioni possono essere mosse anche rispetto alla qualità degli indicatori, atteso che non tutti derivano da statistiche omogenee derivanti dall’applicazione di un regolamento comunitario[10] o all’esistenza di correlazioni tra alcuni di essi.
Inoltre, non sembrano essere presi in debita considerazione gli effetti negativi di trasmissione sugli altri paesi dei guadagni di competitività registrati da alcuni per effetto di condizioni favorevoli o di una legislazione non uniforme.
Quali che siano le potenzialità e i limiti dell’attuale monitoraggio degli squilibri eccessivi, resta, comunque, il fatto che le tavole con gli indicatori non si prestano a facili raffronti tra paesi.
Considerando il solo numero di violazioni, non è possibile determinare quale Paese ha una situazione macroeconomica migliore, misurare l’intensità dello squilibrio o comprendere se un Paese sta migliorando o peggiorando nel tempo la propria situazione. L’Italia ha solo un indicatore fuori norma, ma viene ugualmente sottoposta tutti gli anni a in depth review. Al contrario per l’Irlanda, che presenta ben 6 valori oltre la soglia, non sarà oggetto di ulteriore indagine sull’entità e pericolosità dei propri squilibri.
Per avere una valutazione caratterizzata da una maggiore oggettività, è possibile elaborare un indice sintetico di squilibrio macroeconomico, attribuendo un punteggio ad ogni Paese[11]. L’indicatore sintetico può essere considerato come uno strumento supplementare per controllare se le scelte effettuate dalla Commissione siano coerenti con lo sguardo d’insieme.
Il valore medio ottenuto sintetizza l’ampiezza dello squilibrio e può essere usato per il confronto con gli altri paesi (in termini di differenze o di ranking) o per valutarne l’evoluzione nel tempo.
Attraverso l’indicatore sintetico è possibile anche acquisire ulteriori elementi utili a valutare quale paese sottoporre ad analisi approfondita (in depth review).
A seconda del punteggio (tavola 2), i Paesi sono classificati in tre livelli di squilibri: assente (verde), presente (giallo) e eccessivo (rosso)[12].
Rispetto al 2022, la situazione degli squilibri si è deteriorata: i valori positivi sono 10 (come lo scorso anno), 9 quelli in cui è presente uno squilibrio moderato (5 in meno), mentre sono 8 le situazioni di squilibrio eccessivo (erano solo 3 nel 2022).
Tavola 2 – Indice sintetico di squilibrio macroeconomico – Anni 2014-2023
Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea
Al primo posto nel 2023 troviamo l’Italia, in forte recupero negli ultimi 2 anni, dopo essere stata in eccesso di squilibrio nel 2020-2021. Al secondo posto la Slovenia, seguita dall’Austria, entrambe in miglioramento. Non presentano squilibri considerevoli (fascia verde) anche Danimarca, Francia (la cui media si riduce di 27 punti), Spagna, Paesi Bassi, Germania, Finlandia e Belgio.
Analizzando l’intera decade, la tavola rispecchia abbastanza fedelmente le situazioni di criticità di alcuni paesi europei. Grecia, Cipro e Irlanda hanno vissuto una situazione di squilibrio macroeconomico grave e persistente dal 2014 al 2017-18, per gli strascichi della crisi finanziaria del 2008 e dei debiti sovrani (2010-2011). Nel 2019, gli effetti della ripresa economica hanno normalizzato molte situazioni che in precedenza erano maggiormente a rischio (nessuna situazione di grave squilibrio con punteggio superiore a 100). In Grecia, la situazione è poi precipitata nel 2020, l’anno della crisi pandemica, per recuperare negli ultimi tre anni. Gli effetti dell’inflazione, si sono fatti sentire negli ultimi due anni e nel 2023 la situazione si è particolarmente deteriorata in Lettonia (media di 146, 53 punti più del 2022), Irlanda (39 punti in più) e Lussemburgo (44 punti in più).
Nel 2023 il punteggio medio (81) è peggiorato di 3 punti rispetto al 2022, il valore più alto dell’ultimo decennio, ad eccezione del 2020 (figura 1).
Tra il 2015 e il 2021, i Paesi dell’Eurozona presentano una situazione di squilibrio superiore a quelli che non hanno ancora adottato la moneta unica. Il divario massimo rispetto ai Paesi no Euro è stato di 30 punti nel 2020, come se la mancata adozione dell’Euro avesse consentito una maggiore resilienza dell’economia all’effetto Covid. Nel 2022 il divario si è azzerato e nel 2023 si è addirittura invertita la tendenza, a conferma che la moneta unica si è rivelata più efficace contro il rischio inflattivo.
Figura 1 – Punteggio standardizzato medio per appartenenza o meno all’Eurozona – Anni 2014-2023
Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea
In generale l’Eurozona soffre particolarmente gli squilibri interni e relativi all’occupazione (soprattutto debiti del settore privato e debito pubblico), mentre gli altri Paesi hanno punteggi maggiori sugli squilibri esterni e la competitività, principalmente riguardo al tasso di cambio effettivo e al costo del lavoro.
In particolare, nel 2023 si è registrato una diminuzione degli squilibri per i prezzi delle abitazioni e i crediti concessi a famiglie e imprese, mentre la situazione si è deteriorata soprattutto per il tasso di cambio effettivo, il costo del lavoro, i debiti delle imprese e la quota di export mondiale.
Figura 2 – Punteggio standardizzato per tipologia di squilibrio per il 2023 e confronto con il 2022
Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea
Nel 2023, l’indicatore sintetico di squilibrio macroeconomico varia tra i 42 punti dell’Italia e i 146 della Lettonia (figura 2).
Sono 15 i Paesi che nel 2023 hanno ridotto il proprio squilibrio complessivo, in particolar modo la Francia (da 88 a 61), l’Italia (da 64 a 42), il Portogallo (da 89 a 70) e numerosi altri che si collocano in testa alla graduatoria. In forte peggioramento Lettonia, Irlanda e Lussemburgo, ma arretrano anche Polonia, Belgio, Svezia e Romania.
Nella graduatoria dello squilibrio economico (tavola 3), al primo posto troviamo l’Italia, che era stata nelle prime posizioni solo nel 2018-19, per poi sprofondare nel 2020-21 in fondo alla classifica, in coincidenza con l’emergenza pandemica.
Al secondo posto la Slovenia, già in testa nel 2015-16 e sempre ai primi posti, con squilibri eccessivi nel costo del lavoro e nel debito pubblico.
Si conferma al terzo posto l’Austria, già prima nel 2017, presentando le medesime difficoltà legate al costo del lavoro e al debito pubblico.
La Germania, che era al primo posto nel 2011, si trova ora in ottava posizione, un po’ meglio dello scorso anno, con tre squilibri eccessivi, la quota di mercato delle esportazioni (-7,8% in tre anni), il costo del lavoro e il debito pubblico, mentre si è ridotto entro il limite massimo del +6% lo storico avanzo della bilancia commerciale, che ha causato negli anni scorsi grossi problemi di competitività agli altri partner europei.
Rispetto al 2022, il miglior recupero è quello della Francia (dal 19° al 5° posto), nonostante i 4 squilibri (costo del lavoro, debito pubblico, debito delle famiglie, debito delle imprese).
Nelle ultime 9 posizioni si trovano 7 Paesi dell’Eurozona, con le uniche eccezioni di Ungheria e Repubblica Ceca che da qualche anno hanno perso diverse posizioni.
Tavola 3 – Graduatoria dello squilibrio macroeconomico – Anni 2014-2023
Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea – In marrone chiaro i paesi che non appartengono all’eurozona
Nel 2023 l’Italia (tavola 4), ha ridotto da 3 a 1 gli squilibri macroeconomici, migliorando nettamente il risultato dello scorso anno, conseguendo il più basso punteggio medio aggregato del periodo 2014-2023.
Tavola 4 – Punteggio standardizzato per indicatore di squilibrio macroeconomico – Italia – Anni 2014-2023
Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea
A pesare è come sempre il debito pubblico (134,8% del Pil), pari a 2,25 volte la soglia, unico superamento di soglia nel 2023, ma comunque giudicato sufficiente dalla Commissione europea per tenere l’Italia sotto osservazione approfondita.
La quota di mercato mondiale delle esportazioni di beni e servizi, guadagna il 3,1% rispetto a tre anni prima, come pure positiva è la variazione triennale del tasso di attività (15-74 anni) che cresce del 3,2%. Segnali di miglioramento si colgono nel tasso di cambio effettivo reale, nel flusso di crediti alle famiglie e nel prezzo delle abitazioni. In peggioramento nel 2023 è soprattutto il costo nominale del lavoro, cresciuto del 5% negli ultimi 3 anni, ma in misura di gran lunga inferiore a quello della media europea (+10,7%)[13].
Gli squilibri interni e quelli relativi all’occupazione continuano a rappresentare i fattori preponderanti che spiegano l’82% del punteggio medio nel 2023, secondo solo all’84% del 2020. Su tutti il debito delle amministrazioni pubbliche, ma anche il livello di disoccupazione (ai minimi del decennio) e il debito del settore privato.
Conclusioni
Sebbene lo scoreboard abbia natura puramente indicativa e vada letto insieme ai restanti indicatori ausiliari e al quadro macroeconomico attuale, l’individuazione di squilibri eccessivi e la adozione di conseguenti misure correttive, possono trarre giovamento dalla trasformazione degli indicatori in un punteggio unico standardizzato per paese.
La decisione della Commissione europea di inviare un paese ad una analisi approfondita successiva, anziché su una base discrezionale motivata, come avviene ora con la Relazione sul meccanismo di allerta[14], potrebbe essere ricondotta a criteri più oggettivi come l’indice proposto, aggiungendo – se del caso – un peso legato all’importanza di ciascun indicatore rispetto agli altri[15].
In un’ottica di sviluppo sostenibile, la valutazione dovrebbe anche includere indicatori sui risultati conseguiti in termini di decarbonizzazione dell’economia e più in generale nel contrasto ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente.
Il superamento di un punteggio medio superiore a 70 (zona gialla o rossa), l’aumento rispetto all’anno precedente (deterioramento dello squilibrio), il peggioramento relativo rispetto agli altri paesi (perdita di posizioni nella graduatoria), sono tre fattori che, grazie all’indicatore sintetico, evidenziano, presi singolarmente o nel loro insieme, la necessità di approfondire le cause di squilibrio e le conseguenze sull’economia del paese o dell’intera Unione europea.
Nel 2023, si fanno sentire soprattutto gli effetti della spinta inflazionistica, che si riflette soprattutto in un aumento del costo del lavoro, una perdita del tasso di cambio effettivo maggiore per i Paesi non euro, la diminuzione dei flussi di credito e il calo dei prezzi delle abitazioni. Sono 8 i Paesi finiti in squilibrio grave, 5 in più dello scorso anno.
L’Italia, che aveva pagato nel 2020 uno dei prezzi più alti della pandemia in termini di squilibri macroeconomici, passando da 52 a 134 punti (squilibrio grave), ha recuperato nell’ultimo biennio e nel 2023, con 42 punti ottiene il primo posto in graduatoria.
_______________________________________________________________
[1] I regolamenti per la governance economica previsti nel pacchetto normativo “six pack” del 2014, definiscono anche la procedura per gli squilibri macroeconomici (Semestre europeo).
[2] Nell’attuale ciclo di sorveglianza la Commissione sottoporrà ad esame approfondito 10 Stati membri: Cipro, Estonia, Germania, Grecia, Italia, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia e Svezia.
[3] I dati macroeconomici presi in considerazione sono riferiti all’anno 2023, diffusi alla fine del 2024 e valutati all’interno del cosiddetto semestre europeo 2025. Sebbene si tratti in alcuni casi di valori di tendenza, che non presentano forti oscillazioni, questo sfasamento temporale – di cui comunque si tiene conto nella formulazione dei giudizi – può rappresentare un ulteriore limite del processo di sorveglianza.
[4] Il numero e la natura degli indicatori principali è cambiato rispetto alle edizioni precedenti, come anche in alcuni casi le soglie di riferimento.
[5] Per contrastare l’inflazione la Bce ha intrapreso una politica monetaria restrittiva, con un primo aumento del tasso di interesse da 0 a 0,5% a luglio 2022, poi divenuto 1,25% a ottobre, 2% a novembre, 2,5% a dicembre, 3% a febbraio 2023, 3,5% a marzo, 3,75% a maggio, 4% a giugno, 4,25% ad agosto e 4,5% a settembre. Solo nel 2024 è stato avviato un graduale percorso di riduzione.
[6] Tale dimensione poteva essere rappresentata attraverso lo spread, cioè il differenziale di rendimento rispetto ai Bund decennali della Germania degli omologhi titoli di stato nazionali oppure mediante il tasso di interesse implicito (nominale o reale), cioè il rapporto tra gli interessi corrisposti in un anno e lo stock di debito pubblico alla fine dell’anno precedente.
[7] Si potrebbe utilizzare un indicatore sull’entità dei crediti deteriorati (Non-performing loans).
[8] Con la revisione effettuata è stato eliminato l’indicatore relativo alla posizione patrimoniale netta sull’estero per la difficoltà di definire una soglia significativa e nella consapevolezza che esistono presso la Bce altri meccanismi di sorveglianza per il settore finanziario. Non è stato preso in considerazione il suggerimento contenuto in Montella e Mostacci, (2018) di utilizzare il saldo dello stock dei conti finanziari nei confronti del Resto del mondo rapportato alle passività finanziarie o lo stock di passività finanziarie rapportato al Pil o al Patrimonio netto.
[9] E’ emblematico il caso dell’Irlanda che offre condizioni fiscali particolarmente favorevoli alle multinazionali che collocano lì la loro sede europea, facendo confluire sotto forma di royalties gran parte dei profitti realizzati nei singoli Paesi dell’Unione.
[10] La scelta degli indicatori non è stata fatta in sede Eurostat ma c’è stato un coinvolgimento degli statistici sulla valutazione della disponibilità e confrontabilità degli indicatori.
[11] La metodologia utilizzata consiste nello ‘standardizzare’ i 13 indicatori, assegnando un valore uguale a 0 in assenza di squilibrio e graduando in maniera crescente i valori in maniera tale da avere un punteggio uguale a 100 in corrispondenza della soglia di riferimento. Un punteggio prossimo a 100 indica che si sta per raggiungere o superare la soglia, uguale a 200 che si è sforata del doppio la soglia. Il punteggio standardizzato si ottiene effettuando il rapporto tra il valore dell’indicatore e la soglia indicativa e moltiplicando il risultato per 100. Per i due indicatori che presentano un intervallo di soglia compreso tra un valore negativo e uno positivo, è stato assegnato un punteggio uguale a 0 in corrispondenza del valore centrale dell’intervallo e valori crescenti in entrambi le direzioni. Per il saldo delle partite correnti si ha 100 sia che si abbia un disavanzo del 4%, sia che si abbia un avanzo del 6% (in questo caso è stata utilizzata la differenza relativa anziché il rapporto). Per i due indicatori per i quali la soglia è differenziata a seconda dell’appartenenza o meno all’area dell’euro è stato considerato il valore richiesto per i paesi euro. Per avere un punteggio sintetico di ciascun Paese si calcola la media aritmetica semplice dei punteggi standardizzati dei 14 indicatori.
[12] I valori soglia di riferimento per i tre livelli di criticità (assente 0-70, presente 70-100 e eccessivo >100) sono stati definiti in coerenza con la decisione a suo tempo presa dalla Commissione Europea nel 2015, di sottoporre i Paesi ad analisi approfondita.
[13] La conseguente perdita di potere d’acquisto delle famiglie italiane rispetto alle altre, non è un indicatore considerato.
[14] Nonostante i miglioramenti conseguiti e l’esistenza di un solo squilibri, l’Italia anche quest’anno è stata rinviata alla In-depth review per stabilire l’esistenza di squilibri macroeconomici più o meno eccessivi. La decisione presa dalla Commissione europea si basa, evidentemente, sulla necessità di mantenere alta l’attenzione sul debito pubblico dell’Italia, che può rappresentare una minaccia per la stabilità dell’Unione europea.
[15] Se, ad esempio, si ritiene che il rapporto debito/Pil debba avere più importanza degli altri indicatori, si può costruire una specifica media aritmetica ponderata, anziché semplice. Tuttavia, in assenza di riscontri oggettivi, l’attribuzione di un peso maggiore a uno o più indicatori, può introdurre elementi di arbitrarietà e per questo motivo l’indicatore sintetico è basato sulla media aritmetica semplice. Il peso dovrebbe tenere conto anche delle correlazioni esistenti tra taluni indicatori.