“Il futuro è solo l’inizio”. Ma con la legge di stabilità è l’Italia che non ha futuro

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
bob_marley
Il futuro è solo l’inizio
, recitava il motto della convention renziana appena conclusasi (copiando peraltro il titolo di un libro su Bob Marley). Ma se il metro di giudizio è la Legge di stabilità 2015, non c’è da stare molto allegri.

Per l’anno che si sta concludendo, il governo riuscirà probabilmente a non sforare il 3 per cento del deficit in rapporto al Pil, grazie alle modifiche introdotte dall’Istat con il passaggio al nuovo sistema dei conti nazionali. La  rivalutazione del prodotto, ma soprattutto l’esclusione dagli interessi passivi degli oneri sui contratti derivati hanno, infatti, evitato una ricaduta nella procedura per deficit eccessivi per violazione del Patto di stabilità e crescita.

Archiviata la pratica, l’attenzione si è spostata sui disegni di legge Stabilità e Bilancio, che l’articolo 7 della legge 196/2009 prevede siano presentati alle Camere entro il 15 ottobre, ma che sono approdati in Parlamento solo nella giornata di sabato 25.

Contemporaneamente, secondo il calendario previsto dal regolamento UE n. 473/2013 in vigore dallo scorso anno, il Governo ha anche trasmesso a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio (DPB).

Al termine di 10 giorni, durante i quali la Commissione europea ha contestato all’Italia la deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto degli effetti negativi del ciclo economico), la Ragioneria Generale dello Stato ha esitato ad apporre il visto di conformità (“bollinatura”) e il Quirinale ha preso tempo per controfirmare i provvedimenti, i due disegni di legge hanno finalmente visto la luce.

Nel frattempo – con un numero degno dei migliori illusionisti – vuoi per le pressioni dall’Europa, vuoi per le obiezioni del Ragioniere Generale, i numeri sono cambiati e non è più la manovra da 36 miliardi di euro, di cui 11 di spesa a deficit, che Renzi aveva orgogliosamente illustrato a suon di slide nella conferenza stampa del 15 ottobre e di cui si è parlato per diversi giorni.

Tanto per fare un esempio, la decontribuzione integrale della componente lavoro dall’Irap farà risparmiare alle imprese 2,7 miliardi e non 5 come promesso.

Il nodo principale resta, però, quello delle coperture, in quanto i tagli alla spesa dello Stato centrale e degli enti locali, il recupero dall’evasione fiscale, i proventi dalla tassazione delle slot machine e delle rendite, appaiono fin troppo aleatori.

Sono elevate, quindi, le probabilità che scattino le clausole di salvaguardia che consistono in aumenti delle aliquote Iva e delle accise sui carburanti.
Se ciò avvenisse, il taglio delle tasse sarebbe finanziato con nuove tasse, senza presumibili effetti redistributivi.

Ciò non sembra aver scalfito l’ottimismo del Governo che ha risposto alla Commissione europea difendendo il proprio operato e proponendo come contropartita una riduzione dello 0,3 del deficit/Pil.

Il clima della Leopolda sembra aver contagiato anche il Ministero dell’Economia e non è da escludere di vedere il ministro Padoan, con le treccine rasta, aggirarsi per i corridoi di via XX Settembre intonando Everything’s gonna be alright. Sperando che gli italiani ci credano.