di Franco Mostacci
pubblicato su Il Foglietto.it
Il 20 e 21 settembre 2020, in piena pandemia, quasi il 54% degli elettori si recò alle urne per il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari e il 70% dei votanti lo approvò. Con la legislatura iniziata da pochi mesi, i deputati sono passati da 630 a 400 e i senatori eletti da 315 a 200, il 37% in meno.
Ciò che spinse sicuramente gli italiani ad approvare la riforma costituzionale, accettando in cambio un vulnus democratico per la minore rappresentatività sui territori, aggravata da una mancata riforma del sistema elettorale, era la convinzione di ridurre i costi della politica.
Il risultato del referendum sarebbe stato quasi certamente diverso se avessero saputo che, nonostante un minor numero di onorevoli e senatori, il Parlamento continuerà a costare esattamente come prima: 943,16 milioni di euro l’anno per la Camera dei Deputati e 505,36 milioni di euro per il Senato della Repubblica.
E’ quanto emerge dalla legge di bilancio 2023-2025 del governo Meloni, che conferma per i prossimi tre anni, lo stanziamento annuale in vigore dal 2013, quando ci fu una sforbiciata sul budget annuale dei due rami del Parlamento (del 5% alla Camera e del 4% al Senato).
Eppure, appare evidente che se ci sono 345 parlamentari in meno, non solo si riduce l’ammontare delle retribuzioni e dei contributi previdenziali ad essi spettanti, ma la cura dimagrante dovrebbe riguardare i costi per i collaboratori dei politici, il personale di servizio, gli spazi riservati agli uffici.
Al Senato, ma non alla Camera, è stato anche ridotto il numero delle commissioni permanenti (da 14 a 10), conseguendo un’ulteriore razionalizzazione delle competenze.
A dire il vero, il bilancio di previsione 2022-2024 della Camera, approvato poco prima dello scioglimento anticipato del Parlamento che ha portato alle elezioni dello scorso 25 settembre, mostra – a regime dal 2024 – una minore spesa di 52 milioni, per gli stanziamenti relativi all’indennità parlamentare e ai rimborsi. Si tratta di somme destinate al pagamento delle spettanze dei singoli deputati, che, a parità di ammontare individuale, verranno corrisposte a un minor numero di aventi diritto. Altri 3,2 milioni saranno risparmiati sui trasporti e 1,7 milioni sull’Irap da versare per i deputati in carica. Il contributo di oltre 30 milioni di euro complessivi ai gruppi parlamentari, resta però invariato, facendo salire lo stanziamento pro capite da 49 mila a più di 77 mila euro per Deputato.
Similmente il bilancio del Senato, prevede per il 2024 quasi 22 milioni di euro in meno per competenze e indennità per spese relative allo svolgimento del mandato parlamentare rispetto al 2022, mentre è confermato lo stanziamento per i contributi ai gruppi parlamentari, che passano perciò da 70 mila a 110 mila e 500 euro per Senatore.
In entrambi i rami, i risparmi conseguiti per effetto della riforma sono stati, in tutto o in parte, prudenzialmente accantonati in fondi di riserva, in vista di eventuali future spese conseguenti alle esigenze istituzionali.
Un artificio contabile che non cambia la sostanza delle cose: il bilancio dello Stato non trarrà alcun giovamento dalla riforma costituzionale che ha previsto il taglio dei parlamentari.
Sono di meno, ma costeranno ciascuno qualcosa di più, con buona pace di chi, in buona fede, ha creduto che veramente si volessero ridurre i costi della politica.