L’indicatore sintetico 2020 degli squilibri macroeconomici nell’Unione europea

di Franco Mostacci
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Come ogni anno, la Commissione europea ha pubblicato la tavola statistica che riassume i valori di alcuni indicatori chiave, per ciascuno dei 27 paesi dell’Unione europea[1] (scoreboard).

Tali numeri sono presi a riferimento per la Relazione sul meccanismo di allerta – punto di partenza dell’attività di sorveglianza per il coordinamento delle politiche economiche[2] – in cui si individuano i Paesi che saranno sottoposti ad analisi più particolareggiate e complete (in depth review) per poi formulare raccomandazioni specifiche per gli Stati in cui si riscontrano squilibri macroeconomici eccessivi[3].

Un meccanismo un po’ farraginoso che, finora, non ha prodotto molti risultati concreti[4], ma che comunque consente di tenere sotto osservazione l’evoluzione di alcuni aspetti macroeconomici e individuare alcune criticità.

Va anche considerato che, nonostante l’attenzione posta dalla Commissione europea alla salvaguardia dell’ambiente, con gli obiettivi ambiziosi del Green New Deal in ordine al rispetto degli accordi di Parigi sulla decarbonizzazione, i cambiamenti climatici e la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il quadro di valutazione è incentrato solo sugli aspetti macroeconomici, prescindendo dalla sostenibilità dello sviluppo.

Si tratta di una limitazione al coordinamento delle politiche economiche non più giustificabile, soprattutto se si pensa che il 37% dei 750 miliardi di sussidi e prestiti previsti da Next Generation EU, deve essere impiegato in progetti di salvaguardia o recupero ambientale.

L’obiettivo dello scoreboard è quello di evidenziare ogni tendenza che possa determinare sviluppi che hanno – o potrebbero avere – effetti negativi sul corretto funzionamento dell’economia di uno Stato membro, dell’Unione economica e monetaria o dell’intera Unione. Se lo squilibrio diventa eccessivo può mettere a repentaglio il corretto funzionamento dell’Unione economica o monetaria. Il meccanismo di allerta per l’individuazione e il monitoraggio degli squilibri comprende un numero ristretto di indicatori macroeconomici e macrofinanziari (14 indicatori principali e 25 ausiliari).

L’attuale quadro di valutazione considera due aspetti fondamentali di un Paese (prospetto 1):

  • squilibri esterni e competitività (partite correnti, posizione patrimoniale netta sull’estero, tasso di cambio effettivo reale, variazione delle quote di esportazione, costi unitari del lavoro);
  • squilibri interni e occupazione (prezzi delle abitazioni, flusso dei prestiti nel settore privato, debito del settore privato, debito pubblico, tasso di disoccupazione e variazione delle passività del settore finanziario, tasso di attività 15-64 anni, tasso di disoccupazione di lunga durata, tasso di disoccupazione giovanile).

Prospetto 1 – Indicatori principali per tipologia di squilibrio e valore limite
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Per i 14 indicatori principali sono state definite delle soglie indicative (massime e minime di allerta), superate le quali si individua una condizione di squilibrio.

Tavola 1 – Quadro di valutazione della procedura per gli squilibri macroeconomici – Anno 2020
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Fonte: Commissione europea, Eurostat e DG ECFIN (per gli indicatori sul tasso di cambio effettivo reale)

Il quadro di valutazione preso a riferimento per il Semestre europeo 2022 (tavola 1) è riferito al 2020, anno in cui la pandemia dovuta al Covid19 ha fortemente influenzato l’economia dell’Unione europea il cui Pil è diminuito del 5,9% (a fronte di un +1,8% nel 2019 e +2,1% nel 2018).

Nel 2020, la Spagna diventa il peggior Paese avendo oltrepassato il valore di soglia per ben 7 indicatori su 14 (erano 4 lo scorso anno), mentre Portogallo e Grecia totalizzano 6 sforamenti. Gli 8 Paesi più virtuosi presentano comunque 2 valori superiori al limite. Tra questi anche l’Italia che dal 2016 fa registrare 2 squilibri, di cui uno relativo al debito pubblico in rapporto al Pil (155,6%, oltre 20 punti in più del 2019) e l’altro che fino allo scorso anno era la media triennale del tasso di disoccupazione e nel 2020 è stato sostituito dalla variazione triennale del tasso di occupazione della popolazione in età attiva 15-64 anni, che è tornato in negativo per la prima volta dal 2011 (-1,3%).

Più in generale, nel 2020 si sono registrati 99 squilibri per i 28 Stati dell’Ue (con una media di 3,5 squilibri per Paese), 34 in più del 2019 e il dato più alto dal 2015.

Quando il livello di guardia di un indicatore è superato da numerosi paesi la situazione di criticità investe l’Unione Europea nel suo complesso: è il caso della variazione triennale del costo del lavoro che eccede il 9% che riguarda 19 Paesi; del debito pubblico superiore al 60% del Pil (13 Paesi); del debito privato superiore al 133% del Pil (12 Paesi); dell’esposizione patrimoniale netta in misura maggiore del -35% del Pil e della variazione annuale del prezzo delle abitazioni superiore al 6% (entrambe 10 Paesi).

Il set di indicatori considerato non è sicuramente esaustivo per monitorare il quadro macroeconomico, oltre alla già citata assenza di indicatori della sostenibilità ambientale. Basti pensare all’assenza del tasso di interesse sul debito pubblico che condiziona la sostenibilità del servizio del debito[5], di indicatori sulla situazione finanziario-patrimoniale del sistema del credito[6] o più in generale sull’esposizione finanziaria del Paese[7].

Un sistema di monitoraggio degli squilibri macroeconomici dovrebbe anche considerare le situazioni di dumping fiscale[8] e lavorativo, che alterano le pari opportunità di sviluppo delle economie europee.

Eccezioni possono essere mosse anche rispetto alla qualità degli indicatori, atteso che non tutti derivano da statistiche omogenee derivanti dall’applicazione di un regolamento comunitario[9] o all’esistenza di correlazioni tra alcuni di essi.

Inoltre, non sembrano essere presi in debita considerazione gli effetti negativi di trasmissione sugli altri paesi dei guadagni di competitività registrati da alcuni per effetto di condizioni favorevoli o di una legislazione non uniforme.

Quali che siano le potenzialità e i limiti dell’attuale monitoraggio degli squilibri eccessivi, resta, comunque, il fatto che le tavole con gli indicatori non si prestano a facili raffronti tra paesi.

Non è semplice capire, a parità del numero di violazioni, quale paese ha una situazione macroeconomica migliore; come misurare l’intensità dello squilibrio o comprendere se un Paese sta migliorando o peggiorando nel tempo la propria situazione. L’Italia ha solo due indicatori fuori norma, ma viene ugualmente sottoposta a in depth review e lo scorso anno il suo squilibrio macroeconomico è stato definito grave.

Per avere una valutazione caratterizzata da una maggiore oggettività, è stato elaborato un indice sintetico di squilibrio macroeconomico, attribuendo un punteggio ad ogni Paese[10]. L’indicatore sintetico può essere visto come uno strumento supplementare per controllare se le scelte effettuate dalla Commissione siano coerenti con lo sguardo d’insieme.

Il valore medio ottenuto sintetizza l’ampiezza dello squilibrio e può essere usato per il confronto con gli altri paesi (in termini di differenze o di ranking) o per valutarne l’evoluzione nel tempo. Attraverso questo indicatore è possibile anche acquisire ulteriori elementi utili a valutare quale paese sottoporre ad analisi approfondita (in depth review).

Tavola 2 – Indice sintetico di squilibrio macroeconomico – Anni 2011-2020
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Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea

A seconda del punteggio (tavola 2), i Paesi sono classificati in tre livelli di squilibri: assente (verde), presente (giallo) e eccessivo (rosso)[11].

Gli effetti della crisi pandemica hanno provocato evidenti squilibri nel 2020, con 13 valori positivi, di cui 4 eccessivi (Grecia, Spagna, Lussemburgo, Irlanda), in netto peggioramento rispetto all’anno precedente.

Al primo posto si conferma la Finlandia, che nel periodo della crisi finanziaria (2011) aveva uno squilibrio eccessivo, ma ha saputo costantemente migliorare la propria condizione fino al 2019, per poi peggiorare di 15 punti nel 2020. Al secondo posto Repubblica Ceca, Malta, Belgio e Danimarca sui quali l’emergenza sanitaria non ha prodotto pesanti conseguenze. Seguono altri 9 Paesi – tra cui la Germania, la Polonia e i Paesi Bassi – che non presentano squilibri considerevoli (fascia verde).

La tavola rispecchia abbastanza fedelmente le situazioni di criticità di alcuni paesi europei. Italia, Croazia e Danimarca hanno vissuto una situazione di squilibrio macroeconomico grave e persistente dal 2011 al 2014. Lo stesso si è visto in Portogallo e Spagna (2011-2014), Irlanda, Cipro e Grecia (2011-2015). Tra il 2016 e il 2019, gli effetti della ripresa economica hanno normalizzato molte situazioni che in precedenza erano maggiormente a rischio (nel 2011 si contavano 17 situazioni di grave squilibrio con punteggio superiore a 100). La crisi pandemica del 2020 non sembra aver prodotto gli stessi effetti devastanti sul quadro macroeconomico della crisi finanziaria del 2008 e i segnali di ripresa registrati nel 2021 lasciano sperare che i diversi squilibri possano rientrare nel medio termine.

Figura 1 – Punteggio standardizzato medio per appartenenza o meno all’Eurozona – Anni 2011-2020
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Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea

Nel 2020 il punteggio medio (74) è peggiorato di 20 punti rispetto al 2019, tornando ai livelli del 2015, ma comunque ben al di sotto dei 147 del 2011. I Paesi dell’Eurozona hanno sofferto maggiori squilibri durante gli anni della crisi economica, con un divario massimo di 36 punti rispetto ai Paesi no Euro nel 2011, che si è progressivamente ridotto fino al 2019. Gli effetti della pandemia si sono fatti sentire maggiormente nell’Eurozona (+25 punti) rispetto agli altri Paesi (+9 punti). In generale l’Eurozona soffre particolarmente gli squilibri interni e relativi all’occupazione (soprattutto debiti del settore privato e debito pubblico), mentre gli altri Paesi hanno punteggi maggiori sugli squilibri esterni e la competitività, con particolare riguardo al costo del lavoro.

Dopo il miglioramento degli ultimi anni, nel 2020 si è registrato un aumento degli squilibri per tutti e 14 gli indicatori considerati, con particolare riguardo per il costo del lavoro, il debito pubblico, le passività del settore finanziario, il tasso di attività e la disoccupazione giovanile.

Figura 2 – Punteggio standardizzato per tipologia di squilibrio per il 2020 e confronto con il 2019
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Fonte: Elaborazioni su dati Commissione europea

Nel 2020, l’indicatore sintetico di squilibrio macroeconomico varia tra i 46 punti della Finlandia e i 157 della Grecia (figura 2). L’Italia, con 98 punti si posiziona al quintultimo posto nell’eurozona, mentre lo scorso anno era terza con 40 punti. Molti paesi nel 2020 hanno aumentato il proprio squilibrio complessivo, in particolar modo la Spagna (da 73 a 139), la Grecia (da 92 a 157), l’Italia (da 40 a 98), il Lussemburgo (da 62 a 107) e la Francia (da 47 a 89). In miglioramento la sola Repubblica Ceca (da 48 a 47).

Tavola 3 – Graduatoria dello squilibrio macroeconomico – Anni 2011-2020
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Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea – In marrone chiaro i paesi che non appartengono all’eurozona

Al primo posto si conferma la Finlandia, con il segno positivo nella variazione quinquennale della quota di mercato dell’esportazione di beni e servizi e il miglioramento del saldo delle partite correnti, anche se peggiorano soprattutto il costo del lavoro e la disoccupazione giovanile.

Al secondo la Repubblica Ceca che scala in un anno 10 posizioni, tornando ai livelli del 2016, dopo il peggioramento del 2017-2019.

L’Italia perde ben 20 posizioni, precipitando dai primi posti agli ultimi e tornando ai livelli del 2015.

La Germania, che era al primo posto nel 2011, scivola in decima posizione, continuando a persistere lo squilibrio eccessivo nell’avanzo della bilancia commerciale, che resta al 7,4% del Pil (media triennale).

Nelle ultime 8 posizioni si trovano solo Paesi dell’Eurozona. Rispetto al 2019 perdono posizioni anche la Lituania (13) e la Francia (10).

Tavola 4 – Punteggio standardizzato per indicatore di squilibrio macroeconomico – Italia – Anni 2011-2020
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Fonte: elaborazioni su dati Commissione europea

Nel 2020 l’Italia, pur mantenendo due soli squilibri macroeconomici, peggiora il buon risultato conseguito negli ultimi 4 anni.

A pesare è particolarmente il tasso di attività (15-64 anni) che è diminuita dell’1,3% rispetto al 2017, sforando di 6,5 volte la soglia. Peggiorano anche la gran parte degli indicatori e tra questi il costo del lavoro per unità di prodotto (+5,5% in tre anni), il debito pubblico (155,6% del Pil), la variazione quinquennale della quota di mercato mondiale delle esportazioni di beni e servizi (-2,84%), la variazione annuale delle passività del settore finanziario (+6,8%).

Gli squilibri interni e quelli relativi all’occupazione continuano a rappresentare i fattori preponderanti che spiegano l’88% del punteggio medio nel 2020, il valore più alto dal 2011. Su tutti il debito delle amministrazioni pubbliche, il tasso di attività, ma anche il livello di disoccupazione e il debito del settore privato entrambi prossimi alla soglia massima di tolleranza.

Tra i fattori esterni e dovuti alla competitività, pur non essendoci squilibri eccessivi, si registra un aumento del saldo delle partite correnti, con una media triennale di +3,2% lontana dal valore limite di +6% e il costo nominale del lavoro per unità di prodotto.

Conclusioni

Sebbene lo scoreboard abbia natura puramente indicativa e vada letto insieme ai 25 indicatori ausiliari e al quadro macroeconomico attuale, l’individuazione di squilibri eccessivi e la adozione di conseguenti misure correttive, possono trarre giovamento dalla trasformazione degli indicatori in un punteggio unico standardizzato per paese.

La decisione della Commissione europea di inviare un paese ad una analisi approfondita successiva, anziché su una base discrezionale motivata, come avviene ora con la Relazione sul meccanismo di allerta[12], potrebbe essere ricondotta a criteri più oggettivi come l’indice proposto, aggiungendo – se del caso – un peso legato all’importanza di ciascun indicatore rispetto agli altri[13].

In un’ottica di sviluppo sostenibile, la valutazione dovrebbe anche includere indicatori sui risultati conseguiti in termini di decarbonizzazione dell’economia e più in generale nel contrasto ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente.

Il superamento di un punteggio medio superiore a 70 (zona gialla o rossa), l’aumento rispetto all’anno precedente (deterioramento dello squilibrio), il peggioramento relativo rispetto agli altri paesi (perdita di posizioni nella graduatoria), sono tre fattori che, grazie all’indicatore sintetico, evidenziano, presi singolarmente o nel loro insieme, la necessità di approfondire le cause di squilibrio e le conseguenze sull’economia del paese o dell’intera Unione europea.

A causa della pandemia da Covid19 si è fermato nel 2020 il percorso di generale riduzione degli squilibri macroeconomici che proseguiva ininterrottamente dal 2011, per riassorbire gli effetti della crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, il peggioramento del quadro, potrebbe essere di natura temporanea ed essere parzialmente riassorbito dalla ripresa in atto nel 2021.

L’Italia ha pagato uno dei prezzi più alti della pandemia in termini di squilibri macroeconomici, passando da 40 a 98 punti (a due soli punti dallo squilibrio grave) e perdendo 20 posizioni (dal terzo al ventitreesimo posto).

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[1] A partire da questa edizione il Regno Unito non è più presente,
[2] I regolamenti per la governance economica previsti nel pacchetto normativo “six pack” del 2011 definiscono anche la procedura per gli squilibri macroeconomici (Semestre europeo).
[3] Nell’attuale ciclo di sorveglianza la Commissione sottoporrà ad esame approfondito 12 Stati membri: Croazia, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia. Si tratta degli stessi Stati già monitorati negli ultimi due anni e per i quali la procedura si concluse con un’allerta, in particolar modo per Cipro, Grecia e Italia per i quali era stata ravvisata la presenza di gravi squilibri macroeconomici.
[4] I dati macroeconomici presi in considerazione sono riferiti all’anno 2020, diffusi alla fine del 2021 e valutati all’interno del cosiddetto semestre europeo 2022. Sebbene si tratti in alcuni casi di valori di tendenza, che non presentano forti oscillazioni, questo sfasamento temporale – di cui comunque si tiene conto nella formulazione dei giudizi – può rappresentare un ulteriore limite del processo di sorveglianza, soprattutto in considerazione del fatto che, a causa dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19, il quadro macroeconomico per l’anno 2020 è stato fortemente alterato.
[5] Tale dimensione poteva essere rappresentata attraverso lo spread, cioè il differenziale di rendimento rispetto ai Bund decennali della Germania degli omologhi titoli di stato nazionali oppure mediante il tasso di interesse implicito (nominale o reale), cioè il rapporto tra gli interessi corrisposti in un anno e lo stock di debito pubblico alla fine dell’anno precedente.
[6] Si potrebbe utilizzare un indicatore sull’entità dei crediti deteriorati (Non-performing loans).
[7] Il saldo dello stock dei conti finanziari nei confronti del Resto del mondo rapportato alle passività finanziarie potrebbe essere un indicatore sostitutivo della posizione patrimoniale netta sull’estero, mentre lo stock di passività finanziarie rapportato al Pil o al Patrimonio netto rappresenterebbe un’utile informazione aggiuntiva (Montella e Mostacci, 2019).
[8] E’ emblematico il caso dell’Irlanda che offre condizioni fiscali particolarmente favorevoli alle multinazionali che collocano lì la loro sede europea, facendo confluire sotto forma di royalties gran parte dei profitti realizzati nei singoli Paesi dell’Unione.
[9] La scelta degli indicatori non è stata fatta in sede Eurostat ma c’è stato un coinvolgimento degli statistici sulla valutazione della disponibilità e confrontabilità degli indicatori.
[10] La metodologia consiste nello ‘standardizzare’ i 14 indicatori, assegnando un valore uguale a 0 in assenza di squilibrio e graduando in maniera crescente i valori in maniera tale da avere un punteggio uguale a 100 in corrispondenza della soglia di riferimento. Un punteggio prossimo a 100 indica che si sta per raggiungere o superare la soglia, uguale a 200 che si è sforata del doppio la soglia. Il punteggio standardizzato si ottiene effettuando il rapporto tra il valore dell’indicatore e la soglia indicativa e moltiplicando il risultato per 100. Per i due indicatori che presentano un intervallo di soglia compreso tra un valore negativo e uno positivo, è stato assegnato un punteggio uguale a 0 in corrispondenza del valore centrale dell’intervallo e valori crescenti in entrambi le direzioni. Per il saldo delle partite correnti si ha 100 sia che si abbia un disavanzo del 4%, sia che si abbia un avanzo del 6% (in questo caso è stata utilizzata la differenza relativa anziché il rapporto). Per i due indicatori per i quali la soglia è differenziata a seconda dell’appartenenza o meno all’area dell’euro è stato considerato il valore richiesto per i paesi euro. Per avere un punteggio sintetico di ciascun Paese si calcola la media aritmetica semplice dei punteggi standardizzati dei 14 indicatori.
[11] I valori soglia di riferimento per i tre livelli di criticità (assente 0-70, presente 70-100 e eccessivo >100) sono stati definiti in coerenza con la decisione a suo tempo presa dalla Commissione Europea nel 2015, di sottoporre i Paesi ad analisi approfondita.
[12] Nonostante i miglioramenti conseguiti e l’esistenza di 2 soli squilibri, l’Italia anche quest’anno è stata rinviata alla In-depth review per stabilire l’esistenza di squilibri macroeconomici più o meno eccessivi. La decisione presa dalla Commissione europea si basa, evidentemente, sulla necessità di mantenere alta l’attenzione sul debito pubblico dell’Italia, che può rappresentare una minaccia per la stabilità dell’Unione europea.
[13] Se, ad esempio, si ritiene che il rapporto debito/Pil debba avere più importanza degli altri indicatori, si può costruire una specifica media aritmetica ponderata, anziché semplice. Tuttavia, in assenza di riscontri oggettivi, l’attribuzione di un peso maggiore a uno o più indicatori, può introdurre elementi di arbitrarietà e per questo motivo è stata preferita la media aritmetica semplice.  Il peso dovrebbe tenere conto anche delle correlazioni esistenti tra taluni indicatori.