L’Italia al bivio tra sviluppo sostenibile e distruzione creativa

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
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Ai primi di dicembre dello scorso anno, quando nulla faceva presagire lo scenario politico attuale, gli economisti del Gruppo dei Trenta, di cui Mario Draghi è Senior Member, ha pubblicato un rapporto che contiene la ricetta per riavviare e ristrutturare il settore delle imprese dopo l’emergenza Covid.

Nella prima fase della pandemia gli interventi di politica economica hanno sostenuto in maniera più o meno indiscriminata la liquidità delle imprese, ma nei prossimi mesi si evidenzieranno crescenti problemi di solvibilità, conseguenti a un forte deterioramento del patrimonio netto.

In questo scenario, secondo il Gruppo dei Trenta occorre passare ad interventi mirati, concentrandosi sulla salvaguardia di lungo termine del settore delle imprese, sull’uso più produttivo delle risorse ed evitando conseguenze indesiderate per la stabilità finanziaria.

Le imprese che non sono economicamente redditizie per l’attuale modello di business devono essere abbandonate al loro destino, a meno che i costi sociali non siano talmente elevati  da giustificare un intervento. Lo spettro assolutamente da evitare è che nel mercato si aggirino masse di imprese zombie che non contribuiscono alla crescita economica.

La politica economica dovrebbe incoraggiare le trasformazioni aziendali necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa”, con alcune imprese che si restringono o chiudono, mentre ne aprono di nuove, con alcuni lavoratori che devono spostarsi tra aziende e settori, a seguito di adeguata riqualificazione e assistenza.

Anche le transizioni ambientale e digitale, sebbene ritenute legittime, richiedono un attento bilanciamento tra il desiderio di indirizzare il processo di cambiamento verso determinati obiettivi e la necessità di evitare di imporre vincoli eccessivi alle imprese in difficoltà o restringere l’allocazione del sostegno a un numero insufficiente di settori produttivi o specifiche aziende.

Infine, attraverso l’acquisizione di crediti inesigibili o la creazione di bad bank con risorse pubbliche, il Governo deve riuscire a mantenere in buona salute il sistema finanziario.

In questa visione capitalistica, da adattarsi alle caratteristiche di ciascuna situazione locale, lo sviluppo sostenibile è subordinato al rilancio delle imprese economicamente redditizie e alla messa in sicurezza del settore finanziario.

La realtà italiana è caratterizzata da un sistema produttivo formato per lo più da piccole e medie imprese che hanno scarsa capacità di investire in ricerca e sviluppo; una forza lavoro a forte rischio di spiazzamento sia per motivi anagrafici che per l’atavica assenza di formazione permanente;  un diffuso ritardo tecnologico e digitale che assume carattere patologico nel Mezzogiorno; un deterioramento progressivo del capitale umano per l’assenza di adeguanti investimenti nella scuola e nell’università; una pubblica amministrazione retrograda e resistente ai cambiamenti; la necessità di interventi sul territorio a partire dal dissesto idrogeologico e dalla riduzione dell’inquinamento.

Con l’emergenza sanitaria il mondo è irreversibilmente cambiato, ma una politica economica che assecondasse la distruzione creativa avrebbe effetti diversi sulle imprese e sui lavoratori. Le prime, nonostante la selezione avversa che le colpirebbe in maniera differenziata in base alla redditività del settore in cui operano e l’esposizione finanziaria, hanno comunque una maggiore resilienza e capacità di riconversione rispetto ai lavoratori. La richiesta unanime dei sindacati di prorogare il blocco dei licenziamenti è un segnale inequivocabile della rigidità del mercato del lavoro e della difficoltà di mettere in atto efficaci politiche attive.

In questa situazione,  l’applicazione del modello di rilancio proposto dal Gruppo dei Trenta per uscire dalla più grave recessione dal secondo dopoguerra, provocherebbe un disastro sociale senza precedenti, con una maggiore concentrazione della ricchezza e un aumento delle disuguaglianze ben superiore a quello causato dalla pandemia.