di Franco Mostacci
(documento completo con l’analisi dei conti pubblici europei)
In questi anni si è molto parlato in Italia di spending review[1], intendendo con tale termine un insieme di tagli alla spesa corrente finalizzato al riequilibrio dei conti pubblici.
Le diverse proposte auspicavano tagli del livello della spesa pubblica più o meno consistenti e in genere programmati per gli anni a venire, che non sono stati mai realizzati.
A confronto con gli altri paesi europei, l’Italia si trova in una situazione intermedia sia per quanto riguarda le entrate (livello di tassazione) che le uscite (spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito).
Tuttavia, a fronte di un avanzo primario consistente e prolungato, la spesa per interessi porta a un indebitamento di carattere strutturale e impossibile da eliminare, anche negli ultimi anni in cui i tassi di interesse sono molto bassi. Per cui, il debito pubblico aumenta e, in una spirale senza fine, anziché utilizzare il prelievo fiscale per finanziare lo sviluppo economico e sociale, si destina una quota troppo elevata di risorse pubbliche per remunerare i detentori dei titoli di stato. Un trasferimento netto dall’economia reale a quella finanziaria, con una continua sottrazione di valore[2].
La spesa per consumi (individuali e collettivi) della pubblica amministrazione che costituisce una componente del Pil, in Italia è storicamente bassa rispetto ai partner europei e negli ultimi anni si è ridotta, proprio per cercare di tener fede ai vincoli di bilancio.
La spesa pubblica per investimenti, che potrebbe fare da volano allo sviluppo del Paese, è su livelli troppo bassi e di gran lunga inferiori, anche in termini nominali, a quelli precedenti alla crisi finanziaria del 2008. Il livello degli investimenti non riesce più neanche a compensare il consumo di capitale (ammortamento) dovuto all’invecchiamento di immobili, apparecchiature e strumenti. Oltre ad essere insufficienti, gli investimenti pubblici riguardano in prevalenza settori tradizionali, come trasporti, costruzioni e armamenti, trascurando quelli maggiormente innovativi come la transizione verso le energie rinnovabili, le infrastrutture della comunicazione che consentirebbero la digitalizzazione dei processi, la protezione dell’ambiente. La scarsa e cattiva allocazione delle risorse non farà che accrescere il ritardo tecnologico che l’Italia continua ad accumulare.
La situazione fin qui descritta è precedente al sopraggiungere dell’emergenza sanitaria, che ha sconvolto i bilanci pubblici. I dati aggiornati al 2019 rappresentano uno spartiacque tra i conti pubblici come li abbiamo conosciuti finora e il dopo che verrà. Si tratta di un vero e proprio benchmark del fardello che gli italiani portano sulle loro spalle, per poi trasmetterlo ai propri figli.
Il percorso di risanamento delle finanze pubbliche (diminuzione del deficit, percorso di rientro del debito pubblico, raggiungimento dell’obiettivo di medio termine) si è bruscamente interrotto all’inizio del 2020 e la Commissione europea ha sospeso il Patto di stabilità e crescita. Le prime proiezioni indicano un considerevole calo delle entrate dello Stato – conseguente alla chiusura più o meno generalizzata di gran parte delle attività produttive e commerciali – e un deciso aumento delle uscite, a partire da quelle sanitarie e per la protezione sociale (spese assistenziali per ammortizzatori sociali). Tutti i Paesi europei registreranno per il 2020 un indebitamento netto (deficit) come non si è mai visto dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Con il superamento della fase più acuta della crisi, presumibilmente già a partire dalla seconda metà del 2020, le spese straordinarie dovrebbero ridursi, ma non è detto che le entrate tornino ai livelli del 2019 (precedenti l’emergenza) e, in ogni caso, sarà un processo che potrebbero richiedere molto tempo. Al calo delle entrate potrebbe perciò corrispondere un calo strutturale nelle uscite e negli anni a venire si potrebbe assistere a una cura dimagrante dei bilanci statali (oltre che del prodotto interno lordo).
Il Documento di economia e finanza 2020 prevede – nell’ipotesi di una riapertura a breve delle attività produttive e commerciali e di un allentamento dei vincoli di mobilità per i cittadini – una caduta del prodotto in termini reali dell’8% (con un parziale recupero del 4,7% nel 2021); di un indebitamento al 10,4% (che scende al 5,7% nel 2021), dovuto a un saldo primario negativo del 6,8% (-2% nel 2021); di un debito pubblico che sale di 20 punti al 155,7% del Pil per ridiscendere di soli 3 punti l’anno successivo.
La situazione è in peggioramento in tutta Europa (figura 15).
Alla fine del 2021, l’indebitamento netto nell’Unione europea (escluso il Regno Unito che nel frattempo dovrebbe aver completato il processo di Brexit) potrebbe arrivare a 3,6% dallo 0,6% del 2019. Nell’Eurozona 9 Paesi su 19, guidati dalla Spagna (-6,7%) si troverebbero a superare la fatidica soglia del -3% che in condizioni normali causa l’apertura automatica della procedura di infrazione al Patto di Stabilità e Crescita, al momento sospeso, ma che potrebbe essere riattivato fin dal 2021. Particolarmente pesante la caduta dei Paesi Bassi che passano da un avanzo di +1,7% a un disavanzo di -3,5%.
In definitiva, gli sconvolgimenti nei bilanci pubblici potrebbero essere tali che, in un orizzonte temporale più lungo, si potrebbe assistere a un cambiamento delle proporzioni tra Paesi, nell’interpretazione del ruolo dello Stato o della composizione della spesa, con una quota maggiore destinata alla sanità, alla protezione sociale e agli affari economici a discapito dei servizi generali o della difesa militare.
Figura 15 – Conto consolidato della pubblica amministrazione – Entrate, uscite primarie, interessi (scala sx) e accreditamento(+)/indebitamento(-) (scala dx) nei principali Paesi UE rispetto al Pil (2021) – valori percentuali
Fonte: Spring Forecast (Commissione europea)
Un discorso a parte merita, poi, la questione ambientale e l’obiettivo di riduzione del riscaldamento globale[3], che presupporrebbe una completa riconversione energetica e l’adozione di un modello di sviluppo sostenibile, basato sull’economia circolare e non più sulla crescita lineare del Pil[4]. A differenza del Covid-19 l’emergenza climatica produce effetti molto più lenti, ma che diventano irreversibili una volta superato il punto di non ritorno[5]. In questa fase, in cui tutti gli Stati stanno investendo enormi risorse finanziarie per il sostegno delle imprese e delle famiglie e per il rilancio dell’economia, non si può trascurare l’impatto sull’ambiente delle scelte effettuate. Un panel di stakeholders interpellato dalla Smith School of Enterprise and the Environment[6] ha individuato alcune priorità di intervento: investimenti in infrastrutture fisiche ‘pulite’; interventi di recupero ed efficientamento energetico degli edifici; investimenti in istruzione e formazione per fronteggiare la disoccupazione causata nell’immediato dal Covid-19 e quella di più lungo termine per il processo di decarbonizzazione; investimenti nel capitale naturale su ecosistemi resilienti e rigenerazione; investimenti in ricerca e sviluppo ‘puliti’. In Italia, nel 2017 sono stati erogati sussidi favorevoli all’ambiente stimati in 15,2 miliardi di euro, mentre i sussidi ambientalmente dannosi (Sad) ammontavano a 19,3 miliardi[7]. Sarebbe utile avere utili informazioni più tempestive, se non una vera e propria ‘valutazione di impatto ambientale’ preventiva, da affiancarsi alla ‘bollinatura’ della Ragioneria generale dello Stato sulle coperture finanziarie per le norme in corso di approvazione.
Se si avrà il coraggio di intraprendere seriamente la svolta ‘green’, la composizione delle entrate e delle spese pubbliche subirebbe notevoli cambiamenti.
In Italia, il percorso di aggiustamento fiscale ai livelli del 2019 richiederà molti anni (semmai sarà possibile[8]), considerando anche che non sono stati ancora recuperati gli effetti della crisi finanziaria del 2008 in termini di prodotto interno lordo, accusando un ritardo rispetto ai partner europei, mentre il debito pubblico ha continuato a crescere. L’alto livello del debito pubblico, associato a un’inflazione concentrata sui beni di prima necessità[9], amplierà la forbice della disuguaglianza dei redditi e della ricchezza, che in Italia è già abbastanza elevata, pur non toccando i livelli degli Stati Uniti. In tutto questo periodo sarà impensabile applicare tagli allo Stato sociale e misure restrittive di politica fiscale, a parte quella di perseguire con ogni mezzo l’evasione e l’elusione.
Sicuramente non ci sono motivi per dubitare della sostenibilità dei conti pubblici italiani, ma non si può ignorare che la situazione si sia ulteriormente deteriorata e che rimane esposta a numerosi fattori esogeni sui quali non si ha alcun controllo.
In prospettiva, non si tratta, quindi, di mettere in discussione la funzione svolta dallo Stato di redistribuire le risorse raccolte con la tassazione, quanto piuttosto di capire dove si vuole andare, in una fase storica in cui l’intervento pubblico appare determinante (non solo in senso strettamente keynesiano) e come si possa rendere più efficiente il sistema, adeguandolo ad un nuovo modello di sviluppo.
Una cosa appare certa. Se la ripartenza dopo il lockdown per l’emergenza sanitaria è vissuta come un ritorno alla situazione precedente, ci troveremo impossibilitati a superare le difficoltà che il nuovo modello di società impone senza arrestare il degrado ambientale sempre più preoccupante.
La necessità ha portato a sperimentare l’insegnamento a distanza, il lavoro agile, la ricetta elettronica, l’utilizzo di strumenti di pagamento digitale, il disbrigo online di pratiche amministrative, colmando in poco tempo un divario culturale ancor più che tecnologico.
Non tutte le amministrazioni pubbliche sono organizzate dal punto di vista strumentale e delle competenze per favorire il processo di trasformazione digitale e migliorare la qualità dei servizi offerti. I progressi conseguiti in questi anni sono modesti e si registra un ritardo al sud[10].
Lo Skills Outlook Scoreboard mostra che I lavoratori italiani (pubblici e privati) utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sul lavoro, ma meno intensamente che in molti altri paesi OCSE. Gli insegnanti che necessitano di una formazione Ict sono il 75,2%, agli ultimi posti della graduatoria e lontani anni luce dal Regno Unito (32,6%).
Il Ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione di recente istituzione[11] sta avviando una strategia per l’innovazione e la trasformazione digitale del Paese (Italia 2025), per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dalle Nazioni Unite.
La strategia si sviluppa attraverso 20 azioni di innovazione e digitalizzazione, ma solo 9 di queste sono al momento attivate, mentre altre 11 sono ancora in gestazione, tra cui Il progetto “PA – Porte Aperte all’innovazione”, che intende promuovere l’open innovation nell’amministrazione italiana. Non si intravede un percorso specifico divenuto quanto mai irrinunciabile, per ridurre il digital divide tra gli studenti[12] – che rischia di aumentare ulteriormente le differenze sociali – e il gap formativo in Ict degli insegnanti, da sviluppare in accordo con il Ministero dell’Istruzione.
Il processo di trasformazione della pubblica amministrazione deve seguire tre direttrici fondamentali, tra loro interconnesse: innovazione tecnologica, valorizzazione del capitale umano e sostenibilità ambientale.
Si tratta di un’unica ricetta, applicabile a tutti i settori e a tutte le articolazioni della pubblica amministrazione, necessaria per conseguire una efficienza della spesa, che rappresenta l’unica soluzione possibile per compensare la scarsità di risorse finanziarie, dovute alle minori entrate e ai maggiori oneri del servizio del debito.
Questo processo di innovazione richiede un ridisegno dei modelli organizzativi, con lo sviluppo di sinergie a tutti i livelli; una riconversione e digitalizzazione dei processi anche attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei big data; uno sfruttamento massivo e integrato delle banche dati.
Anche il lavoro pubblico potrebbe essere sottoposto a profonde trasformazioni. I vincoli di bilancio o le nuove modalità di gestione dei processi, potrebbero portare a ridurre in alcuni settori la domanda di lavoratori pubblici, oltre a uno spiazzamento per coloro dotati di minori competenze (soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo delle apparecchiature informatiche). Le conseguenze potrebbero essere uno snellimento delle piante organiche, che potrebbe accompagnarsi a una riduzione dell’orario di lavoro, favorito anche dal consolidamento del lavoro a distanza, per il quale occorrerà riscrivere le norme che regolano il rapporto di lavoro.
L’obiettivo è quello di conseguire il maggior livello di efficienza, fornendo servizi di massima qualità a costi contenuti. Più che inseguire il rispetto pedissequo dell’orario di lavoro, sarà necessario dare priorità agli obiettivi da raggiungere.
Due sono i principali ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un processo di reale modernizzazione del Paese: le resistenze culturali interne e la corruzione.
In molti settori della pubblica amministrazione l’inefficienza si basa su un accordo tacito tra la dirigenza amministrativa e il pubblico dipendente, affinché la prima possa agire indisturbata mentre ai secondi sono tollerate deviazioni dal codice di comportamento. Laddove si manifesta questa combutta, genera un sovradimensionamento delle strutture e paralizza l’innovazione nei processi: la segregazione delle funzioni, ovvero la ripartizione dei ruoli in un procedimento amministrativo, anziché essere utilizzata come misura di prevenzione della corruzione, finisce per essere una modalità per allungare i tempi della burocrazia e, al tempo stesso, per impedire l’individuazione della responsabilità soggettiva.
La resistenza, talvolta pervicace, all’affermarsi della cultura della trasparenza, ponendo ostacoli di ogni genere pur di non rendere noti gli atti prodotti dall’amministrazione, rappresenta un freno a qualsiasi tentativo di innovazione. Non è esente da critiche la stessa Presidenza del Consiglio in tutte le sue articolazioni (ben 8 ministri senza portafoglio e 6 Sottosegretari di Stato), la cui sezione ‘Amministrazione trasparente’[13] non è di agevole consultazione[14].
Uno dei principali problemi che affligge la pubblica amministrazione è l’autoreferenzialità della dirigenza pubblica, che si nomina, si forma e si valuta da sola[15], con la compiacenza della politica.
L’attuale modello organizzativo, che tende al mantenimento degli incarichi e quindi a cristallizzare la situazione, rappresenta un freno all’innovazione, che va rimosso a partire da una ristrutturazione della Scuola nazionale dell’amministrazione.
Esso rappresenta anche il terreno di coltura ideale dove si annida e prospera la corruzione, che viene tenuta nascosta fino a quando accadimenti esterni fanno scattare l’azione giudiziaria, che reprime i singoli episodi ma è inerme nei confronti dell’intero sistema.
Per realizzare un cambiamento si deve adottare un sistema di cogestione della cosa pubblica, affidando ai cittadini e alla società civile il compito di valutare l’operato degli amministratori, in modo tale che si spezzi il legame di autoreferenzialità attuale. Insieme ad una piena affermazione della cultura della trasparenza, ben oltre gli attuali obblighi troppo spesso non rispettati, la cogestione rappresenterebbe una svolta epocale per assicurare una gestione efficace ed efficiente dello Stato.
L’Italia è a un punto di svolta: non può limitarsi a ripartire, ma deve mettere in atto una completa riconversione della pubblica amministrazione, per essere pronta ad affrontare il difficile percorso che la attende. L’unica certezza è che non c’è più tempo da perdere.
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[1] Negli anni più recenti si sono succedute diverse analisi e proposte di revisione della spesa pubblica. Con la legge finanziaria 2007 fu istituita la Commissione tecnica sulla spesa pubblica, presieduta dal prof. Gilberto Muraro, che produsse il “Libro verde della spesa pubblica. Spendere meglio: alcune prime indicazioni”, per poi essere soppressa dal D.L. 112/2008. Successivamente operò il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Piero Giarda (2010) che propose una classificazione degli sprechi; con il governo Monti la razionalizzazione della spesa fu affidata ad Enrico Bondi (2012) che varò una serie di misure di contenimento; il governo Letta (2013) si affidò invece a Carlo Cottarelli, che organizzò gruppi di lavoro tematici indipendenti per giungere a una relazione finale; con Renzi (2014) il testimone passò a Yoram Gutgeld, che per un breve periodo si avvalse anche della collaborazione di Roberto Perotti.
[2] Mariana Mazzucato, “Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale” (2018).
[3] L’accordo sul clima raggiunto a Parigi nel 2015 (Cop21) prevede di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine, puntando a limitare l’aumento a 1,5°C, per ridurre in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici. L’obiettivo 13 di sviluppo sostenibile per la lotta al cambiamento climatico dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, prevede di rafforzare in tutti i paesi la capacità di ripresa e di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali; di integrare le misure di cambiamento climatico nelle politiche, strategie e pianificazione nazionali; di migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva.
[4] Kate Raworth, L’Economia della ciambella, sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo (2017).
[5] Timothy M. Lenton et al., Climate tipping points — too risky to bet against (Nature, 2019).
[6] Cameron Hepburn et al., Will Covid-19 fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change (2020).
[7] Ministero dell’Ambuente e della tutela del territorio e del mare, Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli (2018).
[8] Ad esempio è difficile ipotizzare che si torni ai livelli occupazionali di allora in termini di ore lavorate, ma è altrettanto vero che non necessariamente l’obiettivo della piena occupazione deve rimanere tale e agganciato al modello di crescita lineare del Pil anche in futuro.
[9] Ad aprile 2020 i prezzi dei generi alimentari, prodotti per la pulizia della casa e per la cura della persona hanno fatto registrare un aumento del 2,5% rispetto allo scorso anno, a fronte di una inflazione media pari a 0.
[10] Pubblica amministrazione locale e Ict (Istat, aprile 2020)
[11] In precedenza le funzioni erano svolte da un Dipartimento del Ministero della Funzione Pubblica.
[12] Perché la scuola online non crei disuguaglianze (L. Vergolini e E. Vlach, LaVoce.info)
[13] Il Dlgs 33/2013, più volte modificato, definisce la ‘trasparenza’ come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e stabilisce i contenuti, dal formato standardizzato, che ciascuna pubblica amministrazione è obbligata a pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente del proprio sito internet istituzionale.
[14] La sezione ‘Amministrazione trasparente’ del Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione non rispetta i canoni previsti dal Dlgs 33/2003, essendo presente solo il contenuto relativo alla ‘Selezione del personale’, senza neanche il rimando ad ‘Amministrazione trasparente’ della Presidenza del Consiglio dei Ministri (siti consultati il 15 maggio 2020, ore 12:15).
[15] Gli Organismi indipendenti di valutazione (Oiv), ai quali il D.Lgs 150/2009 affida la valutazione della performance negli enti pubblici, sono nominati dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, tra gli stessi dirigenti pubblici, magari di altre amministrazioni, assicurando un intercambiabilità dei ruoli che tende a proteggere il sistema.