di Franco Mostacci
pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 12 maggio 2019
In questi giorni molti si interrogano sul basso numero di domande di reddito di cittadinanza all’Inps, che è un po’ sotto le attese.
Tra le spiegazioni più gettonate c’è quella secondo cui, siccome molti lavorano ‘in nero’, preferiscono non chiedere il sussidio per evitare controlli fiscali e sanzioni penali. Quindi, è il corollario, non è vero che in Italianon c’è poi tutta la povertà che pensavamo.
Se avere un lavoro irregolare rappresenta un deterrente alla richiesta del reddito di cittadinanza questo, però, ha poco a che vedere con la povertà assoluta, la cui misura è tarata sulla spesa effettiva della famiglia (differenziata per tipologia del nucleo, ripartizione geografica di residenza e ampiezza del Comune) e non sul reddito presunto.
Le famiglie povere, che secondo l’Istat sono 1,8 milioni (5 milioni di individui), sono quelle che spendono in maniera insufficiente per il loro sostentamento, a prescindere dalla fonte dei loro magri redditi.
I motivi per cui il reddito di cittadinanza non decolla sono altri. Nei primi due mesi sono state presentate oltre un milione di domande, un quarto delle quali destinato ad essere rigettato dall’Inps per la mancanza di uno o più requisiti (Isee al di sotto dei 9.360 euro; reddito inferiore ai 500 euro mensili per un single; proprietà immobiliari oltre a quella in cui si vive per un massimo di 30.000 euro; giacenza media in banca al di sotto dei 6.000 euro; non possesso di beni di lusso; residenza in Italia da almeno 10 anni se si è stranieri).
Il Governo ha stanziato risorse per dare il reddito di cittadinanza a quasi 1,3 milioni di nuclei familiari, ma sebbene nei prossimi mesi si aggiungeranno nuove richieste, sarà ben difficile arrivare a tale cifra.
Rispetto alla platea delle famiglie in condizioni di povertà assoluta, le domande presentate sono poche – e molte di esse saranno respinte – a causa dei requisiti troppo stringenti per la richiesta del beneficio.
In assenza di informazioni più precise per identificare il mismatch tra reddito di cittadinanza e povertà, si può ritenere che a pesare maggiormente siano i criteri di calcolo della scala di equivalenza del reddito (il richiedente vale 1, ogni altro adulto 0,4, ogni minore 0,2 con un massimo di 2,1 aumentato a 2,2 in presenza di disabili) che penalizzano le famiglie numerose; il limite dei 6.000 per il conto in banca soprattutto per l’integrazione della pensione di cittadinanza; il requisito della residenza e dell’attestazione del patrimonio che impedisce a molti dei 500 mila nuclei di stranieri poveri (il 28% del totale) di accedere al beneficio.
Il numero di domande pervenute finora all’Inps è pari al 57% delle famiglie in povertà assoluta, con differenze regionali notevoli. In Sardegna sono state presentate 46.335 domande a fronte di 35.011 famiglie povere (il 132%), mentre in Trentino Alto Adige la sovrapposizione è solo del 23%. Anche in Abruzzo il numero di domande per il reddito di cittadinanza supera la povertà (103%) e tassi elevati si registrano in Campania (85%) e Toscana (84%). Tra i valori inferiori alla media prevalgono le regioni del centro-nord, con l’eccezione di Calabria e Molise (entrambe 43%).
Il motivo di tale disparità territoriale può essere spiegato in termini di diverso tasso di accettazione delle domande, con un numero di rifiuti maggiore laddove la percentuale è più alta, ma potrebbe anche risiedere nella misura statistica. In Sardegna, il caso sicuramente più emblematico, le soglie di povertà assoluta prese a riferimento potrebbero essere troppo basse o la copertura campionaria (le famiglie intervistate per sapere come spendono i loro soldi) non adeguata.
Quando si conosceranno maggiori dettagli sul numero e la tipologia di beneficiari (età del richiedente, numerosità e composizione del nucleo familiare) si avranno ulteriori elementi di valutazione.
Poiché l’obiettivo immediato del reddito di cittadinanza è il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e le regole attuali rischiano di penalizzare alcune categorie di indigenti, è già chiaro che serve qualche aggiustamento. Ciò sarà possibile grazie ai risparmi sullo stanziamento inizialmente previsto per il reddito di cittadinanza – si parla di circa 2 miliardi dovuti al minor numero di richieste – che andrebbero destinati ad ampliare la platea dei beneficiari, apportando quei correttivi che consentiranno di raggiungere il maggior numero di poveri.
Rapporto tra numero di domande per il reddito di cittadinanza (marzo-aprile 2019) e nuclei familiari in povertà assoluta (2017) per regione – valori percentuali
Fonte: elaborazioni su dati Inps e Istat