di Franco Mostacci
Il 40% della spesa pubblica italiana, circa 340 miliardi nel 2017, è dovuto alle prestazioni erogate dagli enti previdenziali[1], coperte in parte dai contributi dei lavoratori (225 miliardi) e per la differenza dalla fiscalità generale (115 miliardi).
Lo squilibrio del sistema previdenziale e assistenziale ha assunto in Italia un carattere strutturale.
Fino al 1998 i contributi erano sufficienti a pagare almeno le pensioni, ma la differenza è andata crescendo nel tempo, soprattutto in considerazione del fatto che il gettito contributivo negli ultimi anni è rimasto praticamente invariato, mentre la spesa pensionistica è raddoppiata, passando da 126 miliardi di euro nel 1995 a 264 nel 2017.
Le altre spese previdenziali (tra cui Tfr, indennità di malattia, maternità e infortuni, cassa integrazione, assegni familiari) sono cresciute da 16 a quasi 40 miliardi di euro, mentre le spese assistenziali (assegno sociale, pensioni di guerra e di invalidità, altri sussidi) sono addirittura triplicati da 12 a 38 miliardi, di cui 10 a regime dal 2015 dovuti al bonus di 80 euro mensili, di cui beneficiano i lavoratori dipendenti a basso reddito.
Spesa lorda per previdenza e assistenza e contributi incassati in Italia – Anni 1995-2017 (milioni di euro)
Fonte: Elaborazioni su dati Istat, conti annuali della pubblica amministrazione
Rispetto ai principali Paesi europei l’Italia presenta, oggi, la più alta spesa previdenziale rispetto al Pil, cresciuta dal 15,7% del 1995 al 20% del 2016. Anche la Francia è su livelli alquanto elevati (19,9%), ma l’aumento in questi anni è stato più contenuto ed è stata sorpassata dall’Italia nel 2014. La Germania, invece, ha visto ridursi nel tempo la quota di spesa previdenziale fino al 15,5% del 2016. Rispetto alla media dell’Eurozona il sistema previdenziale italiano è assai generoso, con una spesa superiore di 3 punti percentuali, che diventano 4 se si effettua il confronto con l’intera Unione Europea, incluso il Regno Unito (13,7%).
Spesa previdenziale rispetto al Pil nei principali Paesi europei – Anni 1995-2017 (milioni di euro)
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat
Il quadro tendenziale di finanza pubblica prevede un percorso di rientro della spesa previdenziale italiana al 19,8% nel 2017 e 2018, al 19,7% nel 2019 e 2020 e al 19,6% nel 2021, auspicabile in considerazione delle prospettive demografiche tutt’altro che favorevoli in termini di ricambio generazionale.
L’introduzione della ‘quota 100’ nella prossima legge di bilancio, rimette, però, tutto in discussione.
Sebbene ancora non siano note le cifre della manovra e i tempi e modalità di revisione dei criteri di uscita dal mondo del lavoro, l’inversione di tendenza potrebbe costare un punto percentuale di Pil nel 2021, secondo le stime dell’Inps presentate in una recente audizione parlamentare. Si può ritenere, peraltro, che la maggiore spesa non sarà compensata da un incremento dei contributi previdenziali, andando ad aumentare ulteriormente lo squilibrio a carico della fiscalità generale.
Un’ulteriore fiammata della spesa pensionistica, destinata ai lavoratori più anziani – comunque privilegiati rispetto ai giovani, in quanto riceveranno per un maggior numero di anni una quota di pensione di tipo retributivo non supportata da contributi effettivamente versati – non appare una misura equa e condivisibile. Il superamento dei requisiti previsti dalla legge Fornero può e deve essere fatto senza gravare sui conti pubblici. Nessun lavoratore deve essere obbligato a rimanere in attività fino a tarda età, ma, qualora scelga di smettere di lavorare anticipatamente, non deve poter contare, come avveniva in passato, su una rendita pensionistica in parte regalata dallo Stato.
E’ tempo, invece, di pensare a chi un lavoro ancora non ce l’ha (né avrà domani una pensione dignitosa) e sa che dovrà farsi carico del pesante fardello lasciato in eredità dai propri padri.
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[1] I valori riportati sono le prestazioni lorde. Poiché sono soggette a tassazione, una quota della spesa rientra allo Stato sotto forma di imposte dirette.