di Franco Mostacci
pubblicato sul Fatto Quotidiano del 5 settembre 2018
Con la Nota di aggiornamento al Def di fine mese, il Governo sarà costretto a scoprire le carte sul mantenimento delle promesse inserite nel programma sottoscritto da M5S e Lega.
Purtroppo, alcune nuvole si stanno addensando sull’orizzonte economico (rallentamento della crescita mondiale, aumento del prezzo del petrolio, fine degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, uscita del Regno Unito dall’Unione europea) e anche se non si tradurranno in precipitazioni a carattere temporalesco, ovvero in un nuovo periodo di recessione, non lasciano ben sperare per una accelerazione della ripresa italiana e la messa in sicurezza dei conti pubblici.
Gli obiettivi di consolidamento per l’anno in corso – secondo il quadro previsivo tendenziale del Def varato lo scorso aprile dal governo uscente Gentiloni – non sono di facile realizzazione: il Pil sta crescendo meno del previsto anche per la debolezza dei consumi interni e dovrebbe chiudere ben al di sotto dell’1,5%, una delle peggiori performance europee; a luglio il debito pubblico ha toccato il nuovo record di circa 2.344 miliardi di euro (il dato deve essere ancora diffuso da Banca d’Italia) e, sebbene le oscillazioni durante l’anno siano poco significative, non sarà facile chiudere a 2.297 miliardi di euro, se si intende, nel contempo, rimpinguare la liquidità del conto di Tesoreria; il deficit potrebbe risultare maggiore dell’1,6% (era al 2,3% nel 2017) e l’indebitamento strutturale non calare rispetto allo scorso anno.
Il problema rimane sempre la spesa per interessi sul debito pubblico, pari a circa 65 miliardi di euro l’anno, che paghiamo a un tasso tra i più alti in Europa e vanifica lo sforzo di realizzare ogni anno un saldo primario positivo.
Ma il nodo principale è rappresentato oggi dalle previsioni per il 2019, che partono con un handicap di 12,5 miliardi di euro da recuperare (lo 0,7% del Pil), una pesante eredità lasciata dai governi precedenti, i quali avevano previsto un aumento delle aliquote Iva dal prossimo 1 gennaio, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi.
In tale situazione, è impensabile finanziare in deficit il reddito di cittadinanza, l’introduzione della flat tax e il superamento dei requisiti per andare in pensione previsti dalla Legge Monti-Fornero.
Ma non per i vincoli europei, che pure esistono e vanno rispettati nei limiti del possibile, ma soprattutto perché maggior deficit implica maggior debito e un aggravio degli interessi passivi, che sottraggono risorse preziose agli elementi più qualificanti della spesa pubblica, a partire dagli investimenti pubblici, in forte calo negli ultimi anni.
Senza dimenticare, poi, che abbastanza frettolosamente e andando persino oltre il dettato del Fiscal Compact, nel 2012 il Parlamento introdusse nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio riferito all’indebitamento strutturale e, qualsiasi tentazione di sforamento dal percorso di rientro, andrebbe per coerenza accompagnata da una proposta di revisione dell’articolo 81 della Carta fondamentale.
Per realizzare i propri obiettivi di politica economica, oltre a una spending review che riduca i margini di corruzione e una seria lotta all’evasione fiscale e contributiva, al Governo non resta che agire sulla leva della redistribuzione, con misure che potrebbero vincolare all’Isee il bonus degli 80 euro e i trasferimenti erogati dagli enti locali; rimodulare alcune detrazioni o deduzioni fiscali in base al reddito; reintrodurre una tassa patrimoniale anche sulla prima casa, salvaguardando le fasce più deboli; aumentare l’Iva solo per i beni e servizi non di stretta necessità (incluso l’acquisto di seconde abitazioni).
Sulle pensioni, infine, sarebbe importante separare una volta per tutte il trattamento contributivo da quello retributivo, lasciando solo per quest’ultimo i requisiti anagrafici e contributivi attualmente richiesti per uscire dal mondo del lavoro.
Si tratta di una serie di interventi che rappresenterebbero un segnale di inversione e potrebbero indurre la Commissione europea a una maggiore indulgenza nella concessione di spazi fiscali. A maggior ragione se il Governo parlasse con una voce sola, evitando di lucrare consensi elettorali sulle spalle degli italiani.