di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
pubblicato sul Fatto Quotidiano del 5 giugno 2018
Da qui alla fine dell’anno, il dibattito sulla politica economica sarà incentrato sulla necessità di trovare coperture finanziarie per scongiurare l’aumento delle aliquote Iva dal 1° gennaio 2019.
Si tratta di una clausola di salvaguardia inserita alcuni anni fa nella legge di bilancio, per effettuare spese certe a fronte di ipotetiche entrate, senza che tale politica espansiva abbia consentito di ridurre il differenziale di crescita dell’Italia nei confronti dell’Eurozona.
Fino al prossimo dicembre, dunque, o si individuano misure alternative che consentano di recuperare 12,5 miliardi di maggiori entrate o di minori spese dal 2019 e 19,2 dal 2020 (preferibilmente a carattere strutturale), oppure si lascia che l’aliquota Iva ordinaria del 22%, salga prima al 24,2% e poi al 25% e quella intermedia dal 10% passi all’11,5% e quindi al 13%.
Considerando che, secondo le più recenti stime di Eurostat, il tax gap sull’Iva fra l’ammontare dovuto e quello incassato raggiunge in Italia i 35 miliardi di euro l’anno (il valore più alto di tutta l’Unione europea), basterebbe recuperarne poco più della metà per chiudere la partita. Ma, evidentemente, non si riescono o non si vogliono predisporre efficaci strumenti di contrasto all’evasione.
Se dal 1° gennaio 2019 l’Iva aumentasse, avrebbe un impatto sulla spesa delle famiglie e sull’inflazione, con un effetto recessivo (rispetto a un ipotetico scenario invariante) dovuto a una possibile contrazione dei consumi. A parte le tariffe, per le quali l’adeguamento sarebbe automatico, l’esperienza insegna che non necessariamente l’aumento si trasferirà sic et simpliciter sul prezzo finale di vendita, essendo improbabili ritocchi di listino tabellari di 1,5% o 2,2% (il caffè al bar non può certo passare da 1 euro a 1,015). Va anche detto, però, che l’aumento dell’Iva potrebbe rappresentare per alcuni rivenditori l’occasione per arrotondare i prezzi in misura ben superiore, generando rincari maggiori delle attese (con la scusa dell’Iva, il caffè al bar potrebbe finire per aumentare di 10 centesimi, il 10% in più).
Una simulazione teorica, condotta a partire dall’indagine sulla spesa per consumi delle famiglie dell’Istat, rapportata ai consumi finali privati di contabilità nazionale, tenendo conto delle differenze concettuali tra le due misure, mostra che ogni famiglia italiana spenderebbe in media nel 2019 quasi 30 euro in più al mese per l’aumento dell’Iva, senza considerare l’imposta sull’eventuale acquisto di un’abitazione.
La maggiorazione di un punto percentuale sull’aliquota al 10%, fa crescere la spesa media mensile di 7 euro, mentre ogni punto in più rispetto al 22%, provoca un aumento di 8,7 euro.
La spesa media familiare aumenterebbe di quasi l’1%, gravando in misura maggiore al crescere dell’ammontare (+0,77% per il decimo più povero di famiglie per spesa equivalente e +1% per quello più ricco). Il motivo di tale differenza è abbastanza ovvio, considerando che sui prodotti di prima necessità, di cui si compone in prevalenza il paniere delle famiglie a basso reddito, l’aliquota Iva del 4% resta invariata.
Tutte le principali forze parlamentari si sono dichiarate a favore della sterilizzazione dell’aumento dell’Iva, in linea con quanto fatto finora dai governi precedenti, che si sono però sempre limitati a rimandare il problema all’anno successivo, riducendo in minima parte l’onere originario.
In attesa delle decisioni che saranno prese sulla formazione del nuovo Governo, è bene chiarire che ogni intervento di riduzione della spesa pubblica o di aumento delle entrate ha carattere recessivo, per cui si tratta di scegliere il male minore o un giusto compromesso tra le diverse possibilità, tenendo conto degli effetti redistributivi sulle diverse fasce di popolazione. Anche lasciare crescere il deficit (passerebbe da 1,6% a 2,3% nel 2019 e da 0,8 a 1,8 nel 2020 rispetto al Pil), ammesso che si riesca a convincere Bruxelles in tal senso, ha i suoi costi, che potrebbero lievitare – e non di poco – con l’atteso rialzo dei tassi di interesse.
Peraltro, a meno di soluzioni strutturali e definitive, da qui a un anno si tornerebbe nuovamente a discutere di come sterilizzare gli aumenti delle aliquote Iva, togliendo risorse ed energie a misure efficaci di rilancio dell’economia.