di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
Ancora non si è spenta l’eco dell’eccesso di morti che si registrò nel 2015, che una nuova ecatombe, di portata perfino superiore, si è abbattuta sull’Europa nella stagione invernale 2016-2017.
A dirlo sono le statistiche demografiche mensili, che indicano un picco dei decessi a gennaio 2017, quando in Italia, Francia, Inghilterra e Galles si sono registrate complessivamente quasi 200 mila morti, 43 mila in più dello scorso anno (+28%) e 16 mila in più del precedente record di gennaio 2015 (+9%).
In Italia le cose sono andate anche peggio, con 75 mila morti a gennaio, 20 mila in più del 2016 (+36%) e 10 mila in più del 2015 (+15%). Anche se la stagione invernale appena trascorsa non è stata particolarmente rigida sotto il profilo delle temperature, l’aumento dei decessi è sicuramente da mettere in relazione con l’influenza. O, per essere più precisi, con le complicanze successive a una sindrome influenzale (in primo luogo, le polmoniti), che colpiscono i soggetti più a rischio, gli anziani, le cui condizioni di salute possono essere già di per sé precarie.
Segnali inequivocabili che le cose non fossero andate per il meglio, erano già riscontrabili nelle risultanze della sorveglianza epidemiologica sull’influenza (InfluNet) in Italia, che raccoglie le segnalazioni settimanali di un campione di medici di base e pediatri, con una copertura del 2% della popolazione.
Nel bollettino Epicentro, pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) a maggio scorso, si legge che la stagione 2016-2017 è stata caratterizzata da un anticipo di circa quattro settimane (il picco si è avuto a fine dicembre), da una rapida impennata dell’incidenza delle sindromi simil-influenzali e da un elevato numero di casi nella popolazione anziana (5,1%), la più alta dopo la stagione 2004-05. “L’impatto di questa stagione in termini di numero di casi gravi e di decessi da influenza confermata e ricoverati in terapia intensiva – prosegue il commento della ricercatrice Caterina Rizzo dell’Iss – è stato di media entità e pertanto rispetto alla precedente stagione sono stati segnalati più casi gravi e decessi”.
A contribuire all’incremento di mortalità è stata la combinazione di due fattori: la particolare virulenza dell’epidemia e una bassa copertura vaccinale negli anziani, che negli ultimi anni è intorno al 50% rispetto al target minimo del 75% indicato dall’OMS.
Già nel 2015. l’aumento dei decessi era stato apoditticamente messo in relazione con il calo delle vaccinazioni anti influenzali (48,6% nelle persone di 65 anni o più) ma, l’anno successivo, la percentuale era aumentata al 49,9% e nella stagione influenzale 2016-2017, la copertura è stata del 52%.
L’aumento, seppure marginale, delle persone anziane coperte da vaccino, sembra indicare che l’impennata delle morti di gennaio scorso possa dipendere principalmente da altre cause.
Gli studi epidemiologici sono giunti alla conclusione che, durante la stagione invernale 2014-2015, si è manifestato un virus A/H3N2 mutato, diverso da quello contenuto nel vaccino raccomandato (A/Texas/50/2012). Anche nel 2016-2017 – come si legge nella nota dell’Iss – vi è stata una netta predominanza dei virus influenzali di tipo A (95%), in particolare di quelli appartenenti al sottotipo H3N2 (99% dei ceppi A sottotipizzati).
Secondo quanto afferma l’Iss, l’efficacia della vaccinazione, soprattutto nella popolazione anziana, è stata moderata, suggerendo un potenziale mismatch fra virus A/H3N2 circolanti e virus contenuto nel vaccino.
In altre parole, anche se vaccinati, gli anziani possono aver contratto ugualmente l’influenza, esponendosi a complicanze talvolta letali.
Nonostante le evidenze sulla scarsa efficacia dei vaccini antinfluenzali quando sono in circolazione mutazioni del virus, come accaduto in due degli ultimi tre inverni, nessuno si è finora preso la briga di effettuare un test statistico, verificando, anche su base campionaria, se le persone decedute erano state o meno vaccinate. Si tratta di incrociare due registri, entrambi nella disponibilità delle autorità sanitarie, per predisporre eventuali misure aggiuntive di prevenzione, in considerazione degli elevati costi sociali diretti e indiretti che l’influenza genera e per ridurre l’ipermortalità nella popolazione più anziana e per i soggetti a rischio, per i quali le complicanze possono risultare fatali.
Sotto il profilo previdenziale, poi, a partire dal 1° gennaio 2019, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, il requisito anagrafico per andare in pensione aumenterà dagli attuali 66 anni e 7 mesi a 67 anni o poco meno. La decisione sarà presa entro l’anno e si baserà sulla variazione della speranza di vita residua di un sessantacinquenne tra il 2013 e il 2016. Il Governo è sordo alle richieste di congelamento dell’età pensionistica fino al 2021, il cui costo è stimato in 5 miliardi di euro in due anni.
L’aumento della mortalità in Italia che – salvo un miracoloso recupero nella seconda parte dell’anno – sarà registrato nel 2017 non inciderà, quindi, sul calcolo dell’età di uscita dal mondo del lavoro, perché avvenuto successivamente al periodo da considerare per legge. Pertanto, oltre al danno, la beffa!
Numero di decessi in Italia, Francia, Inghilterra e Galles – (2014 – aprile 2017)
Fonte: bilancio demografico mensile Istat, Insee, Ons