Il 2016 è stato un anno di deflazione. Speriamo di non doverla rimpiangere

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca

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La deflazione riflette il precario stato di salute di un’economia: se la domanda interna ristagna, i prezzi non possono che rimanere fermi.

Possiamo essere certi che, non appena la crescita si rafforzerà, i prezzi ricominceranno a salire, come già sta avvenendo in Germania.

Se poi la deflazione dipende dal prezzo del petrolio, come è accaduto nel 2016 a seguito della decisione dei paesi produttori di aumentare la produzione per mandare fuori mercato il prezzo dello shale oil americano, questo non può che rappresentare un fattore positivo, sia per le imprese che producono, sia per le famiglie che consumano.

Per i conti pubblici, si è detto che un’inflazione più alta renderebbe il debito dello Stato meno oneroso, e ciò è vero nella misura in cui non aumentano in maniera corrispondente anche i tassi nominali di interesse. Anche il gettito Iva beneficia di una maggiore inflazione ma d’altro canto aumentano la spesa per la rivalutazione automatica delle pensioni e per i rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici.

Per molte persone, soprattutto se a reddito fisso, la diminuzione dei prezzi al consumo, quale ne sia la causa, non può che essere accolta come una buona notizia.

E se nel 2016 si sono ridotti in media dello 0,1%, non è detto che tutti ne abbiano usufruito. Per chi non possiede un’automobile, ad esempio, la diminuzione del prezzo dei carburanti è stata totalmente indifferente.

Al contributo negativo all’inflazione dei beni energetici (-0,5%), hanno fatto da contrappeso i servizi (+0,3%) e gli altri beni (+0,1%), mentre non hanno generato alcun impatto i beni alimentari, i beni tecnologici e le automobili.

A tavola l’inflazione dipende dalla dieta familiare: sono aumentati i pesci (+0,032%), le carni (+0,014%), l’olio di oliva (+0,012%) e le patate (+0,009%). Al contrario, è negativo il contributo di zucchine (-0,012%), pomodori da insalata (-0,010%) e carciofi (0,009%).

Ha speso di più chi ha acquistato un’automobile nuova (+0,026%), ma ha risparmiato chi si è affidato al mercato dell’usato (-0,004%). E se la riparazione e manutenzione dell’automobile (+0,043%) e il pedaggio autostradale (+0,006%) hanno in parte vanificato il risparmio sull’acquisto dei carburanti (- 0,253%), è andata male a chi è abituato a mangiare fuori (+0,050% tra ristoranti, pizzerie e fast food), mentre hanno beneficiato di prezzi più bassi i viaggiatori in aereo (-0,024%) e i frequentatori di alberghi (-0,023%).

Ognuno ha la sua inflazione, con un paniere di beni e servizi di riferimento e abitudini di acquisto, che differiscono da quelle medie dell’intera popolazione. Un’inflazione individuale, che non può essere misurata e spesso viene distorta da errate percezioni.

Nei prossimi mesi, finita la tregua sui mercati petroliferi, i prezzi al consumo potrebbero iniziare a salire anche in Italia, a prescindere dalla ripresa economica. Speriamo di non dover rimpiangere troppo quest’anno di lieve deflazione.