di Franco Mostaci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
L’inflazione per il 2016 chiuderà molto probabilmente a -0,1%, con una diminuzione media annua dell’indice dei prezzi al consumo che non si vedeva dal 1959.
La stagione della deflazione sembra volgere definitivamente alla conclusione per effetto dei recenti aumenti dei prezzi del petrolio greggio sui mercati mondiali, che hanno già fatto risalire i tassi di interesse sui titoli di Stato e lo spread.
Coloro che auspicavano una ripresa dell’inflazione per vedere ridotto il rapporto tra debito e Pil ai prezzi correnti – rovesciando il nesso causa-effetto tra crescita e aumento dei prezzi – dovranno ora fare i conti con una spesa per interessi in aumento, prima ancora che il Pil nominale riprenda ad accelerare.
Nei prossimi mesi è da attendersi una risalita dei prezzi dei carburanti alla pompa, alla quale le famiglie dovranno far fronte con un reddito che, invece, continua a rimanere sostanzialmente stazionario.
A causa della mancanza di inflazione, non avrà luogo, per il secondo anno consecutivo, anche la perequazione automatica delle pensioni.
Anzi, a meno di ripensamenti dell’ultima ora, a gennaio 2017 lo Stato procederà con un prelievo una tantum di poche decine di euro per il conguaglio 2015, che fu rinviato di 12 mesi con la Legge di Stabilità 2016.
Sul calcolo dell’inflazione di quest’anno gravano, però, alcune ombre che non sono state finora dissipate.
Prima fra tutte, il costo della giocata minima del Superenalotto, passata da 1 euro per due sestine a 1 euro per sestina (con simultaneo aumento della quota destinata a montepremi dal 34% al 60%), che l’Istat ha ritenuto di non considerare come una variazione del prezzo.
Secondo le argomentazioni del presidente di Adusbef Elio Lannutti – riprese anche in un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle (primo firmatario, Daniele Pesco) da 6 mesi senza risposta – ci sarebbe stato un aumento del costo della giocata del 22,4%.
E l’impennata degli incassi sembra confermare tale interpretazione. Nel 2016, le giocate al Superenalotto superano 1,14 miliardi di euro, a fronte di 615 milioni di euro del 2015 (+85%) e, sebbene il montepremi che gli scommettitori si spartiscono sia triplicato, la quota che remunera i rivenditori o viene trattenuta dallo Stato è passata da 402 a 470 milioni di euro (+17%).
Destano perplessità anche i mancati aumenti dei prezzi dei servizi a domanda individuale (asili nido, mense scolastiche, residenze per anziani, tasse universitarie), conseguenti all’introduzione del nuovo calcolo dell’Isee.
Come pure la presenza nel paniere del canone Rai (in diminuzione), dopo che lo stesso Istat ha classificato l’azienda nel settore della pubblica amministrazione, in quanto la Legge di Stabilità 2016 ha trasformato il canone radiotelevisivo in una tassa da versare all’Erario tramite la bolletta dell’energia elettrica.
Tra mancati aumenti e diminuzioni di dubbia liceità definitoria, l’inflazione del 2016 poteva spostarsi all’insù di qualche decimale di punto, ognuno dei quali sarebbe costato allo Stato 230 milioni di euro lordi (170 al netto dell’Irpef), considerando solo l’impatto della rivalutazione delle pensioni.
Ammontare medio mensile delle giocate al Superenalotto per estrazione 2015-2016 (*)
(*) I dati di dicembre 2016 sono parziali