Riforma degli enti di ricerca: ancora un’occasione persa

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca

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A distanza di un anno, il Governo ha finalmente partorito l’atteso decreto legislativo di riordino degli enti di ricerca che scaturisce dalla delega conferita con l’art. 13 della Legge 124 del 7 agosto 2015.

I principi e i criteri direttivi che dovevano ispirare l’azione riformatrice del Governo erano 5:

a) garantire il recepimento della Carta europea dei ricercatori e del documento European Framework for Research Careers, con particolare riguardo alla libertà di ricerca e all’autonomia professionale; consentire la portabilità dei progetti di ricerca e la relativa titolarità valorizzando la specificità del modello contrattuale del sistema degli enti di ricerca;
b) inquadramento della ricerca pubblica in un sistema di regole più snello e più appropriato a gestirne la peculiarità dei tempi e delle esigenze del settore, nel campo degli acquisti, delle partecipazioni internazionali, dell’espletamento e dei rimborsi di missioni fuori sede finalizzate ad attività di ricerca, del reclutamento, delle spese generali e dei consumi, ed in tutte le altre attività proprie degli EPR;
c) definizione di regole improntate a principi di responsabilità ed autonomia decisionale, anche attraverso la riduzione dei controlli preventivi ed il rafforzamento di quelli successivi;
d) razionalizzazione e semplificazione dei vincoli amministrativi, contabili e legislativi, limitandoli prioritariamente a quelli di tipo «a budget»;
e) semplificazione della normativa riguardante gli EPR e suo coordinamento con le migliori pratiche internazionali.

Il dlgs sugli enti di ricerca, approvato in via preliminare il 25 agosto dal consiglio dei ministri, è formato da 19 articoli che sembrano confermare le perplessità preconizzate lo scorso anno dal Foglietto.

Chi si aspettava chissà quale rivoluzione per rilanciare la ricerca pubblica in Italia, da tempo affetta da deficit non solo di natura finanziaria che aumentano il gap tecnologico con i Paesi più avanzati, non potrà che rimanere deluso.

I 20 enti di ricerca, più l’enclave degli ex lavoratori Ispesl confluiti nell’Inail, continueranno ad essere vigilati da 7 diversi Ministeri (tra cui il Miur, al quale ne afferiscono 14).

Parte una nuova stagione di regolamenti da approvare (ammesso che si fosse mai interrotta) e sono introdotti nuovi vincoli assunzionali. In compenso, gli Epr avranno la possibilità di acquistare beni e servizi per l’attività di ricerca al di fuori del Mercato elettronico della pubblica amministrazione (MePA), di bypassare le procedure di mobilità di personale della stessa area funzionale proveniente da altre amministrazioni prima di espletare un concorso, di assumere per chiamata diretta ricercatori e tecnologi dotati di altissima qualificazione scientifica e di sottrarsi al controllo preventivo della Corte dei conti sui contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa.

Ben difficilmente il testo potrà migliorare durante l’iter di approvazione, che prevede l’acquisizione dei pareri non vincolanti della Conferenza Stato-Regioni, del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti, prima di tornare al Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva.

Un’altra occasione persa, dunque, per la ricerca pubblica, in attesa di governi migliori.