Troppe morti in Italia nel 2015. Allarme sanitario o anomalìa statistica?

di Franco Mostacci
agid

Nel 2015, si stanno verificando in Italia troppi decessi. A lanciare l’allarme dalle colonne di Neodemos è stato il professor Gian Carlo Blangiardo dell’università Bicocca di Milano.

Il bilancio demografico mensile dell’Istat rivela, infatti, che dall’inizio dell’anno i morti stanno aumentando in misura abnorme. Tra gennaio e agosto, si sono avuti 445 mila decessi, ben 45 mila in più dello scorso anno (+11,3%). L’inquietante fenomeno si sta verificando maggiormente al nord (Valle d’Aosta +20,1%, Lombardia +13,1%, Piemonte +13%), con l’unica eccezione della Campania (+13,3%). Tra le grandi città, il triste primato spetta a Napoli (+18,1%), ma la situazione è critica anche a Torino (+15,6%) e Milano (+14,7%).

Oltre a non avere riscontri nel recente passato, la morìa che starebbe interessando la popolazione italiana è anche caratterizzata dal fatto che colpisce maggiormente le donne (+13,5%) rispetto agli uomini (+9%).

La demografia è una scienza che, in genere, fa pochi scherzi. Soprattutto quando si guarda alla componente naturale della dinamica di una popolazione – le nascite e le morti – che non possono improvvisamente mutare il loro corso senza che ci sia una specifica causa scatenante, che al momento nessuno sembra aver individuato.

Sarebbe assai grave se, a fronte di un numero talmente impressionante di maggiori decessi, l’Istituto Superiore di Sanità si stesse disinteressando della vicenda o fosse a conoscenza delle cause ma non le divulgasse. Lo stesso dicasi per il Governo, che si appresta, invece, a tracciare un quadro positivo del 2015, reclamando i meriti di una fragile ripresa economica.

Al mondo dell’informazione non sarebbe certo sfuggito in questi mesi il tutto esaurito negli ospedali, un’impennata delle spese sanitarie con relativo allarme da parte delle Regioni, un proliferare di agenzie funebri con fatturati alle stelle. E’ impensabile, poi, che l’aumento della mortalità possa aver dispiegato i suoi effetti  solo al di qua delle Alpi.

Per una volta, sembrerebbero sussistere diverse ragioni per sperare che la statistica ci tragga in inganno.

Anche se potrebbe trattarsi solo di una coincidenza che nulla a che vedere con l’aumento dei decessi, si deve considerare che il 10 novembre 2014 è stato varato il regolamento che contiene le modalità di attuazione e funzionamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR).

Secondo quanto si apprende dall’Agenzia per l’Italia digitale, l’ANPR sostituirà entro il 2016 le oltre 8.000 anagrafi dei comuni italiani, con un’unica banca dati contenente le informazioni anagrafiche della popolazione residente, a cui faranno riferimento non solo i Comuni, ma l’intera Pubblica amministrazione, inclusi i gestori di pubblici servizi.

Il Dpcm 194/2014 prevede anche che l’ANPR renda disponibili all’Istituto nazionale di statistica i  dati  concernenti la popolazione, il movimento naturale e i trasferimenti di residenza, necessari alla produzione delle statistiche ufficiali sulla popolazione e sulla dinamica demografica, nel rispetto della  normativa  nazionale e della legislazione dell’Unione Europea. Si tratta del cosiddetto censimento permanente della popolazione e delle abitazioni, che dovrebbe mandare definitivamente in soffitta la conta che ora viene effettuata ogni dieci anni, con enorme dispiego di energie.

E’ in corso, insomma, una vera e propria rivoluzione informatica, con a capo la Sogei spa, la società che gestisce i servizi informativi, anche di natura tributaria, per conto del Ministero dell’economia e delle finanze.

In vista della transizione all’anagrafe unica nazionale, i Comuni potrebbero aver dato luogo nel 2015 a una pulizia straordinaria degli archivi, cancellando definitivamente persone defunte da tempo.

Si tratta di un’ipotesi tutta da verificare ma, se confermata, spiegherebbe non solo l’impennata dei decessi, ma anche la maggiore concentrazione al nord (dove le operazioni procederebbero in maniera più spedita) e nella componente femminile, che è di gran lunga più presente nelle classi di età più anziane.

Ma, se fosse tutto così semplice, perché dopo l’allarme lanciato dal professor Blangiardo, che sta alimentando giustificati timori e preoccupazioni, nessuno si sente in dovere di fornire chiarimenti e rassicurazioni?

L’assenza di risposte potrebbe essere legata anche alle conseguenze in materia previdenziale di una non corretta valutazione dei tassi pregressi di sopravvivenza, che potrebbero aver sfavorito pensionandi e pensionati nei requisiti anagrafici richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia e nel calcolo del coefficiente di trasformazione del montante contributivo.

Una cosa è certa. Che si tratti di un allarme sanitario o di una semplice anomalìa statistica, l’aumento della mortalità in Italia nel 2015 è un argomento fin troppo serio per poter rimanere senza una valida spiegazione.

Numero di decessi in Italia, per genere, regione geografica e grandi Comuni (valori cumulati periodo gennaio-agosto)
morti_ago2015Fonte: elaborazioni su dati Istat