L’evasione non conosce crisi, mentre la metà del reddito degli italiani onesti se ne va in tasse e contributi

di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
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Nei giorni scorsi l’Istat ha reso noti i numeri dell’economia sommersa e illegale che, per motivi di comparabilità internazionale, dalla metà degli anni ’80 è una componente non trascurabile del Pil.

L’economia non osservata, sulla quale non vengono pagate le tasse, ammontava nel 2013 a 207 miliardi di euro, il 12,9% del Pil.

La sottodichiarazione dei ricavi delle imprese vale 99 miliardi di euro, il lavoro irregolare 72 miliardi, altre forme di economia sommersa fatturano 19,5 miliardi, mentre l’introito delle attività illegali (traffico di stupefacenti, contrabbando e prostituzione) è di 16,5 miliardi.

L’economia in nero in Italia è un settore florido che non conosce crisi, anzi. Rispetto al 2011 è aumentata di quasi 5 miliardi e senza di essa la caduta del Pil sarebbe stata ancora maggiore, lo 0,3% in più.

Ad aumentare in questi due anni è stata soprattutto l’evasione o elusione delle imprese, che hanno nascosto al fisco 6 miliardi di euro di valore aggiunto, tra costi gonfiati e riduzione del fatturato.  Particolarmente attive nel sottrarsi alle tasse sono risultate le imprese del settore delle costruzioni passate dal 12,2% al 14,2% del valore aggiunto sommerso, le attività commerciali (dal 12,8% al 13,9%) e i servizi professionali (dal 15,7% al 17,5%).

Quasi il 40% dell’economia in nero (80 miliardi di euro) è riconducibile al settore del commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, ai quali si aggiungono 40 miliardi di servizi alle persone e professionali. In aumento anche il traffico di stupefacenti, il cui mercato nel 2013 valeva 11,5 miliardi di euro.

Ma l’aspetto forse più rilevante di questo spaccato dell’Italia sommersa e illegale è nella diversa percezione della pressione fiscale, cioè dell’ammontare del gettito di imposte erariali e locali e di contributi previdenziali in rapporto al Pil.

La pressione fiscale in Italia, già di per sé elevata, è stata del 41,6% nel 2011, è salita al 43,6% nel 2012 (con la cura Monti) e si è assestata al 43,5 nel 2013.
Se però sottraiamo al Pil l’ammontare dell’economia non osservata, ricavando il Pil effettivamente imponibile, la pressione fiscale corretta balza al 47,4% per il 2011 e sale al 49,9% nel 2012 e 2013, con un gap in costante crescita.

In Italia, chi produce regolarmente il proprio reddito, deve versarne la metà allo Stato in tasse e contributi. Forse è questo uno dei motivi per cui in tanti preferiscono evadere.