di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
L’articolo 46 della Legge di Stabilità 2016, innalza da 1.000 a 3.000 euro il limite massimo che può essere utilizzato per il pagamento in contanti.
Il provvedimento ha suscitato non poche critiche perché favorisce sia il riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali sia l’evasione fiscale. Una politica – ha chiosato LaVoce.info – che l’Italia certamente non può permettersi.
Non la pensa allo stesso modo il Governo, che nella relazione illustrativa motiva la scelta con “l’esigenza di garantire maggior fluidità nelle transazioni effettuate quotidianamente per il soddisfacimento di bisogni di stretto consumo”.
Se si ritiene che le persone abbiano necessità di spendere più di 1.000 euro in contanti per i bisogni di stretto consumo o ci si prende gioco degli italiani o si è perso completamente il senso della realtà.
Ma la cosa forse ancor più preoccupante è che il ministro Padoan, illustre e apprezzato economista, sostiene la tesi che non esiste una correlazione diretta tra utilizzo del contante ed evasione fiscale.
L’autorevole fonte di riferimento, sempre stando alla relazione illustrativa, sarebbe la Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), che in una recente quanto provvidenziale nota, intitolata per l’appunto “Nessuna correlazione tra evasione e utilizzo del contante”, ha spiegato che nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro e che in Italia sono presenti 15 milioni di “unbanked” (includendo presumibilmente anche i bambini), ovvero persone che non possiedono né conti correnti, né strumenti elettronici di pagamento.
Finalmente, grazie alla Legge di stabilità, tutti potranno nascondere i soldi nel materasso e tirarli fuori al momento opportuno per andare a effettuare acquisti di importo superiore ai 1.000 euro, con le tasche gonfie di banconote.
La cosa singolare è che il Governo, supporti le sue decisioni sulle affermazioni di una associazione di categoria, trascurando voci autorevoli e istituzionali, quali la Banca d’Italia e l’Istat.
A dicembre del 2011, quando il Governo Monti con il decreto Salva Italia restrinse l’uso del contante da 2.500 a 1.000, come forma di contrasto all’evasione, la Banca d’Italia auspicò un’ulteriore riduzione della soglia, accompagnata da una riduzione dei costi connessi con l’uso della moneta elettronica. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Istat, rappresentata a quel tempo dal prof. Giovannini, che aveva anche coordinato un gruppo di lavoro presso il Mef sull’economia non osservata e i flussi finanziari.
Nella ricerca del prof. Schneider, “The shadow economy in Europe 2013”, patrocinata dalla Visa, si evidenzia che i Paesi con una maggiore evasione fiscale sono quelli in cui è minore il numero di transazioni elettroniche per abitante. Aumentando per almeno quattro anni consecutivi i pagamenti elettronici del 10%, si può ridurre del 5% l’evasione fiscale.
Un risultato analogo è contenuto in uno studio empirico dell’Abi, “Diffusione della moneta di plastica e riflessi sull’economia sommersa”, sulle determinanti socio-demografiche, culturali ed economiche sull’utilizzo delle carte di credito/debito in Italia tra il 1993 e il 2008, in cui si stima che un uso più frequente dei pagamenti con moneta elettronica può ridurre il sommerso tra i 10 e i 40 miliardi euro (all’incirca tra 0,6 e 2,5 punti di Pil).
Due studi di parte – è vero – ma che il ministro Padoan, lo stesso che lo scorso anno sosteneva che la limitazione dell’uso del contante era uno strumento essenziale per il contrasto all’evasione e all’uso di capitali di provenienza illecita, non sembra aver preso minimamente in considerazione.
Nel dibattito in corso si avverte la mancanza di una stima ufficiale, a cadenza annuale, dell’economia non osservata, nelle sue diverse componenti.
La serie storica diffusa dall’Istat, basata su definizioni e metodologie ormai superate, si ferma al 2008, quando si riteneva che l’economia sommersa potesse essere compresa tra il 16,3% e il 17,5% (275 miliardi di euro), in diminuzione rispetto al 19,1% del 2000.
Recentemente, con la revisione del sistema dei conti nazionali, l’Istat ha completamente rivisto i metodi di calcolo, stimando che l’economia sommersa nel 2011 ammontasse a circa 187 miliardi di euro, l’11,5% del Pil, al quale si deve aggiungere un ulteriore 0,9% imputabile alle attività illegali (traffico di droga, contrabbando, prostituzione).
Sarebbe interessante sapere, in considerazione del fatto che l’economia non osservata rappresenta una componente tutt’altro che trascurabile del Pil, quale è stata la sua evoluzione e composizione negli anni della crisi economica. Se i pagamenti in nero siano aumentati, come sembrerebbe logico pensare, oppure se l’economia sommersa sia diminuita perché il settore delle costruzioni – quello più esposto – ha subìto maggiormente gli effetti della crisi.
Si tratta di informazioni di base essenziali, ma al momento non pubblicate dall’Istat, per poter effettuare valutazioni sugli effetti delle limitazioni all’uso del contante, che sarebbero ben utili per prendere decisioni di politica economica adeguatamente e oggettivamente motivate.
In assenza di esse, più che le improbabili evidenze empiriche citate dal ministro Padoan, il provvedimento che consentirà da gennaio prossimo un più ampio utilizzo del contante, sembra essere il frutto della pressione politica della componente della maggioranza di Governo rappresentata da Alfano, come candidamente ha ammesso il ministro Franceschini.