di Franco Mostacci
pubblicato sul Fatto Quotidiano del 12 agosto 2015
In pieno agosto i tecnici dell’Ecomomia stanno mettendo a punto la Nota di aggiornamento al Def che dovrà essere presentata alle Camere entro il 20 settembre. Il compito non è dei più facili.
Da un lato, infatti, dovrà essere considerata la riduzione di 50 miliardi di tasse in 5 anni promessa da Renzi, dall’altro si dovranno fare i conti con i vincoli di bilancio, previsti dal Fiscal Compact e dal Patto di Stabilità e Crescita, sui quali vigila la Commissione europea. Secondo il quadro programmatico contenuto nel Def, l’Italia quest’anno dovrebbe avere un deficit del 2,5% rispetto al Pil, che si annullerebbe nel 2018 per andare in avanzo nel 2019. Per conseguire l’obiettivo, gli interessi dovranno ridursi da 4,7% a 3,7% e l’avanzo primario passare da 1,6% a 4% (grazie a una riduzione del 3% della spesa). Dopo aver definitivamente archiviato il piano di revisione della spesa pubblica proposto da Cottarelli, che prevedeva interventi volti a garantire risparmi per 18 miliardi di euro nel 2015 e 34 miliardi nel 2016 (rispettivamente 1% e 2% del Pil), la spending review sembra, però, procedere a rilento a parte i tagli annunciati nella Sanità. Il Governo deve, poi, fare i conti con le due sentenze della corte costituzionale che hanno dichiarato illegittimi il blocco della rivalutazione delle pensioni del 2012 e quello del rinnovo dei contratti del pubblico impiego e deve anche mantenere l’impegno di disinnescare la clausola di salvaguardia sull’aumento dell’Iva a partire dal 2016. Il pareggio di bilancio strutturale (l’indebitamento al netto della componente ciclica e delle una tantum) può essere raggiunto nel 2016 se si consoliderà la ripresa e inizieranno a dare i loro frutti le riforme strutturali (Jobs Act, Buona scuola, riforma della PA). Per quest’anno l’ obiettivo di medio termine non sarà centrato, grazie alla flessibilità concessa a inizio anno dalla Commissione (riduzione del deficit strutturale di 0,25% anziché 0,5%) per rafforzare il legame tra investimenti, riforme strutturali e responsabilità fiscale. Il debito pubblico, sempre secondo i piani del Governo, dovrebbe aumentare leggermente quest’anno in rapporto al Pil per poi iniziare a diminuire. La regola del debito sarebbe rispettata nel 2016 in prospettiva (forward looking). La Commissione, però, appare perplessa, sia perché l’Italia sta deviando dal percorso di minimo aggiustamento lineare strutturale, sia perché il risultato è legato a un piano ambizioso di privatizzazioni, tra cui quelle di Poste, Enav, Grandi stazioni e nel 2016 di Ferrovie dello stato. Anche se dovesse continuare a beneficiare di un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, di una politica monetaria espansiva (quantitative easing messo in atto dalla Bce) e del prezzo basso del petrolio, il sentiero di consolidamento dei conti pubblici appare ben stretto per offrire spazio a una consistente riduzione della tassazione. La diminuzione del gettito tributario, non compensata da minori uscite o da entrate di altro tipo, avrebbe l’effetto di far salire il deficit (nominale e strutturale) e il debito pubblico. Per mantenere le sue promesse, a Renzi non resta altra possibilità che provare a chiedere una maggiore flessibilità ai partners europei, essendo consapevole che ulteriori concessioni ben difficilmente saranno accordate.