di Franco Mostacci
pubblicato sul Foglietto della Ricerca
Nel Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica la Corte dei Conti ha analizzato i conti pubblici per i livelli di governo centrale e locale.
In Italia, la spesa pubblica (non considerando i 328 miliardi di euro di prestazioni previdenziali, pari al 44% del totale al netto degli interessi) è per il 47% a carico dello Stato centrale e per il 53% degli enti locali, una suddivisione rimasta invariata dall’inizio del secolo. In Germania e Spagna (entrambe con un assetto amministrativo decentrato) le amministrazioni centrali spendono solo il 29%, mentre in Francia (tradizionalmente centralista) si arriva al 61%.
Nel periodo 2001-2014 la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito è aumentata del 72% in Spagna, del 58% in Francia, del 40% in Italia e del 28% in Germania.
In rapporto al Pil la spesa primaria (comprensiva anche delle prestazioni previdenziali) in Italia è aumentata dal 41,4% del 2001 al 46,5% del 2014. Analogo andamento si è avuto in Francia (dal 48,3% al 55,1%) e in Spagna (dal 35,5% al 40,3%), mentre in Germania si è ridotta dal 43,9% al 42,1% (il prodotto interno lordo è cresciuto più della spesa pubblica).
Al netto dell’inflazione e senza considerare le prestazioni previdenziali, in Italia la spesa primaria è diminuita a livello centrale (Stato), mentre negli Enti locali è aumentata fino al 2009 per poi tornare ai valori di partenza. Negli altri 3 Paesi, pur con dinamiche differenziate, è invece aumentata ad entrambi i livelli.
Il grado di autonomia finanziaria delle amministrazioni locali è rimasto sostanzialmente invariato in Italia dal 2001 al 2012. Le entrate proprie non arrivano al 50% delle spese (al pari della Francia), mentre in Germania e Spagna sfiorano il 70%.
In Italia, i redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni statali sono diminuiti dal 48% della spesa totale del 2001 al 46,8% del 2014, come anche i consumi intermedi che si sono ridotti dal 12,3% al 10,3%. Non altrettanto si può dire per gli enti locali, che hanno visto sì un’analoga flessione dei redditi da lavoro dipendente (dal 30,8% al 29,4%), ma un sostanziale incremento dei consumi intermedi (dal 23,6% al 29,5%).
In definitiva, gli interventi che si sono susseguiti a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, non sembrano aver sortito effetti significativi sul processo di decentralizzazione, in riferimento sia al rapporto tra spesa centrale e locale sia al grado di autonomia finanziaria degli enti locali.
In una proposizione – conclude la Corte dei Conti – si può ritenere che la resilienza delle istituzioni è ben maggiore di quanto venga ipotizzato nel dibattito pubblico corrente.